Alla fine è arrivata, il 24 maggio
2025, la nomina ufficiale del Papa al Cardinal Robert Sarah come “inviato
speciale” della Santa Sede, di cui si è tanto parlato in questi ultimi giorni. Sulle
reti sociali si era scatenata una polemica tra chi sosteneva che fosse stata
data tale nomina e chi invece affermava che fosse una notizia falsa. Se ne era
parlato molto, forse troppo, perché bisognava vedere come si comporta questo
Papa e che indirizzo vuole dare alla Chiesa. Nello specifico il Cardinal Sarah
viene identificato come uno dei massimi esponenti dell’”ala tradizionalista” e
quindi una sua nomina come “vice-Papa” sarebbe stato un chiaro segno di dove
vuole indirizzare la Chiesa il nuovo Pontefice.
Il punto è che i giornalisti nostrani,
non capendo e non volendo capire nulla della realtà della Chiesa, le applicano
automaticamente i criteri politici che utilizzano per le loro questioni di
geo-politica. E in particolare usano come criterio discriminante la posizione
verso l’Amministrazione americana attuale, rea di essersi discostata dalla linea
del potere dominante. Tutte le azioni del Papa vengono lette in chiave pro o
contro Trump, come se il Romano Pontefice fosse una emanazione della
superpotenza americana o comunque dovesse rendere conto del suo operato ai
governanti d’oltre Atlantico.
Per fare solo un esempio, mi è
capitato di ascoltare un’intervista ad un “vaticanista” tra i più quotati sulle
previsioni per il Conclave che avrebbe poi eletto Papa Leone XIV. Costui,
prendendo spunto dall’immagine di Trump vestito da Papa (che lui aveva,
giustamente, definito “una idiozia artificiale”), aveva sentenziato che la
candidatura del Cardinal Prevost, da lui peraltro considerato il migliore, era
stata “bruciata”. Il vaticanista sosteneva che, siccome Trump aveva fatto circolare
quella immagine, non c’erano più possibilità che fosse eletto Papa un cardinale
statunitense. E questo lo aveva detto dopo aver elencato tutte le ragioni
positive per le quali era convinto che Prevost fosse l’uomo giusto: la sua
esperienza di missionario in Perù, la sua elezione a Priore Generale degli
Agostiniani, la sua nomina nel Dicastero per i Vescovi in Vaticano. Tutte
queste cose, per lui, non potevano più essere prese in considerazione dai
Cardinali elettori, perché Trump era apparso vestito da Papa.
Ma altre alla dipendenza dalla
politica statunitense, un’altra tendenza è quella di mantenere, come se nulla
fosse accaduto, la contrapposizione “conservatori-progressisti”, che viene data
per scontata anche nei rapporti e nelle questioni della Chiesa. Si cerca di
individuare, nelle scelte di Leone XIV, se vuole far diventare la Chiesa
conservatrice oppure progressista, quasi fosse un periodo di propaganda tra il
Partito Democratico e il Partito Repubblicano. Ma ciò avviene negli Stati
Uniti, dove si è costantemente pressati dalle incombenze elettorali: magari
nella Chiesa Cattolica la questione potrebbe essere impostata in modo diverso,
ma questa ipotesi non sfiora minimamente le “menti” degli analisti vaticani,
che continuano imperterriti a proferire giudizi apodittici e a lanciare sentenze
inappellabili. Che poi quasi sempre vengono smentite dalla realtà dei fatti, ma
guai ad ammettere di aver sbagliato!
Ciò che più mi lascia basito è la
cronica incapacità di guardare gli eventi, di saper leggere ciò che accade, di
cercare di capire lo svolgersi degli avvenimenti. Si glissa sui fatti e si
passa immediatamente al commento, all’interpretazione, al giudizio, basato per
lo più su impressioni e molto poco su conoscenze effettive.
Non essere rimasti stupiti della
serietà con la quale il Collegio cardinalizio ha operato è segno di piccineria
intellettuale e denota un attaccamento morboso ai propri pregiudizi.
Chi invece si apre alla realtà e la
considera più importante delle proprie idee non può non essere rimasto ammirato
dalla ponderatezza, dalla profondità ma anche dalla rapidità con la quale il
Conclave ha eletto Leone XIV. E dalla intelligenza con la quale è stata scelta
una persona che possa assicurare la continuità con la situazione precedente e
nello stesso tempo ritornare ad una “sacralità” in larga parte smarrita negli
ultimi dodici anni. Non solo, ma nell’aver optato per un uomo che vuole riportare
la pace nel mondo e nella Chiesa, che ha nel suo motto vescovile, confermato
anche da Papa, l’essere una cosa sola nell’unico Cristo. E che si conferma,
ogni giorno di più, un uomo di profonda fede, incline all’ascolto e alla
compartecipazione.