Sulla Stampa di ieri è uscito un
editoriale di De Romanis dal titolo: “L’Italia prigioniera del maxi-debito, ma
senza crescita servono più tasse”. Ora, io purtroppo mi sono trovato ad
insegnare economia politica per oltre trent’anni e mi sono francamente stancato
di questo continuo “lavaggio del cervello” sul debito pubblico italiano.
Per
prima cosa, è tutto da discutere che il debito pubblico sia un fattore frenante
dell’economia: semmai è vero il contrario, soprattutto in periodi di crisi,
come ha sempre sostenuto (e dimostrato) John Maynard Keynes. Infatti la spesa
in deficit stimola la domanda globale e quindi aumenta la ricchezza nazionale:
perciò è un fattore di crescita di tutta l’economia del Paese.
Certo,
lo Stato si ritrova ad essere indebitato, ma è un debito in gran parte interno
e comunque elemento propulsivo, perché aumenta la capacità di effettuare
investimenti pubblici.
Seconda
cosa: l’Italia non è “prigioniera del maxi-debito”; è prigioniera dei parametri
di Maastricht, che stabiliscono il massimo del 3% del deficit sul PIL e del 60% del debito pubblico
sempre sul PIL. Parametri che sono diventati talmente assurdi che hanno
richiesto una revisione della loro applicazione. Anche perché l’Italia ha il
137%, ma la Grecia il 159%, e gli altri Paesi non sono messi molto meglio: la
Francia supera il 110%, Spagna e Belgio il 108%, il Portogallo il
100%.....adesso neanche più la Germania ce l’ha al disotto del 60%, essendo
diminuito il suo PIL in seguito alla crisi economica.
Ma
allora, di cosa stiamo parlando? Come si fa a considerare il problema del
debito pubblico come una faccenda squisitamente italiana, quando ce l’hanno
tutti, questo problema? Ce l’ha anche il Regno Unito, furbescamente uscito dall’Unione
europea e nemmeno mai entrato dell’Euro (guarda caso). Il debito pubblico del
Paese spacciato per essere capofila del liberismo, dalla stampa succube del
regime globalista, si aggira anch’esso sul 100%.
E
vogliamo considerare i Paesi extraeuropei? Gli alfieri dell’economia mondiale,
i capitalisti Stati Uniti d’America, hanno raggiunto il loro massimo storico e
si attestano intorno al 130%. Di ciò, naturalmente, non si trova alcuna traccia
negli articoli dei giornalisti “atlantonti”. Singapore, il Paese più in
crescita dell’Asia, arriva anch’esso al 130%.
Ma,
udite udite, lo Stato che ha il debito pubblico più alto sapete qual è?
Nientepopodimeno che il Giappone, che si attesta addirittura ad un 260%!!! E non
mi sembra di aver mai letto su alcun quotidiano di una crisi endemica dell’economia
giapponese, dovuta all’eccessivo indebitamento dello Stato.
Ma
tornando a bomba, qual è il motivo per cui questi Stati, che non credo si
possano definire arretrati o sottosviluppati, mantengono, anzi rafforzano, il
loro debito pubblico?
Una
risposta può essere cercata nell’intenzione di sviluppare l’economia attraverso
appunto investimenti in infrastrutture, come strade, ponti, aeroporti, ferrovie
e quant’altro. Un’altra motivazione può essere trovata nella spesa per
armamenti e strutture collegate (soprattutto per gli Stati Uniti, che poi
cercano di scaricarla sugli Stati loro satelliti, Italia compresa).
Un’altra
possibilità potrebbe essere la volontà di migliorare il tenore di vita della
popolazione con la fornitura di servizi aggiuntivi, tramite la costruzione di
ospedali, scuole e mezzi di trasporto pubblici.
Per
intenderci, i miei amici africani sono rimasti stupiti dalla quantità di tram,
di filovie, di autobus presenti a Milano. Dicono che dalle loro parti non
esistono assolutamente e la gente affitta i motorini per andare in giro, molto
più delle macchine. Ci sono dappertutto i moto-bus, che saltano il traffico,
sgattaiolando tra un’auto e l’altra. Nei Paesi che sono dotati di mezzi
pubblici questi non coprono che una esigua parte del traffico locale.
Per
fare un esempio, a Kinshasa ci saranno una cinquantina di autobus pubblici, su
una popolazione di venti milioni di persone.
E’
così che la Repubblica democratica del Congo riesce ad avere solo il 16% del
debito pubblico sul PIL.
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