Mi trovo
con un amico nepalese che ad un certo punto mi chiede: “Ma tu sai cosa sta
accedendo in Nepal?”. “No, veramente”, rispondo io. “Il governo si è dimesso”,
incalza lui, “Hanno protestato i giovani dai 18 ai 28 anni, ed erano 100.000 a
Katmandu”. “Per la popolazione del Paese sono tanti” osservo io. “Sì, perché il
capo del governo aveva vietato l’uso delle reti sociali in tutta la Nazione,
escluso Tik Tok”. “E questo appena tornato dalla Cina”, aggiunge lui, per farmi
capire meglio. Le proteste sono state contro il divieto di usare le piattaforme
sociali (ben 26, tra cui Facebook, Instagram, X, Youtube, What’s up) e contro
la corruzione. E’ quella che i media hanno chiamato “la rivoluzione della
generazione Z”. Il governo aveva imposto il coprifuoco e l’esercito aveva
ripreso il controllo delle strade della capitale. Le proteste però erano
continuate e i manifestanti avevano bloccato strade, assaltato palazzi dei
politici e appiccato incendi, suscitando la reazione delle forze armate. E’
stato dato a fuoco anche il Parlamento. In tutto ci sono stati 22 morti e circa
400 feriti.
Io però voglio rendermi conto anche della
situazione istituzionale. “Quindi adesso non c’è un governo?” “Certo, come
tempo fa in Bangla Desh”. Poi soggiunge: “il presidente dovrà scegliere un
altro candidato”. “Ma scusa, il presidente del Nepal si è dimesso?”. “Sì”,
risponde lui. “E come si chiama?”. “KP Sharma”. “Ma è anche capo del governo?”.
“Sì”, dice lui, ma nella sua voce avverto una qualche incertezza. “Allora il
Nepal è una repubblica presidenziale?”. Lui risponde affermativamente, ma è
ancora più titubante. Io però non sono convinto, e incalzo: “E come si chiama
il presidente della repubblica?”. “Ram Chandra Poudel”. “Ma allora non è una
repubblica presidenziale, bensì parlamentare!” concludo io. “Se fosse stata
presidenziale il capo dello Stato e il capo del governo sarebbero la stessa
persona!”. “Sì”, ammette lui, “KP Sharma è il primo ministro, mentre Ram
Chandra Poudel è il presidente della repubblica”.
Poi lui continua: “Adesso il presidente dovrà
nominare un altro capo del governo, perché al momento non c’è nessuno”. E
aggiunge: “Forse domani…”. “Ma adesso chi comanda, in Nepal?”. “L’esercito”,
risponde lui. Vengo a sapere che c’è stato un incontro tra il movimento
giovanile di protesta e le forze armate. Vengo a sapere inoltre che il
presidente della repubblica era scappato in elicottero per sfuggire alle
violenze dei manifestanti. Tornato, ha poi nominato “ad interim”, cioè
temporaneamente, il precedente capo del governo, KP Sharma, fino all’insediamento
del nuovo esecutivo.
Insomma, il mondo sta diventando sempre più una
polveriera, in questa “terza guerra mondiale a pezzi”, per usare un’espressione
di Francesco. Ma nello stesso tempo assistiamo a dei movimenti di protesta dal
basso, come questo guidato dai giovani nepalesi, che arrivano addirittura a
costringere il governo a dare le dimissioni. I popoli devono riprendere in mano
la loro sovranità e poter decidere il cambiamento, come è avvenuto in questi
giorni in Nepal.
Poi, se vogliamo proprio dirla tutta, cioè risalire alle cause di questa rabbia incontrollata e apparentemente esagerata, il Nepal è sempre stato uno dei Paesi più poveri del mondo e i giovani faticano moltissimo a trovare lavoro, tanto che circa un terzo della popolazione nepalese è emigrato all'estero.
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