Negli ultimi giorni, una violenta offensiva militare ha scosso la città di Aleppo, riaccendendo dopo più di 4 anni il conflitto siriano. Quanto ai responsabili c’è chi li chiama ribelli, chi li chiama jihadisti, chi le chiama forze di liberazione e chi invece non ha proprio capito niente per via della mancata limpidezza e trasparenza dell’informazione in questi anni. I nostri media infatti sono stati troppo impegnati a dipingere Bashar al-Assad come un feroce dittatore che opprime il proprio popolo, salvo non spiegare e dire niente né delle cause del conflitto né degli attori che ne fanno parte. In mezzo a tutta questa confusione intanto rimane sconcertante la terribile indifferenza nei confronti delle persecuzioni che ormai da ormai 14 anni subiscono le minoranze cristiane, assire e curde.
Chi scrive questo articolo è un ragazzo, ormai di 22 anni, di origine siriana che ha seguito sin dai primissimi momenti, fino ad oggi, la guerra civile che ormai dal 2011 va avanti.
Lungi dal voler fare una lezione di storia, la mia vuole essere una riflessione sullo sviluppo di questa guerra ormai senza fine.
Come ormai sappiamo la guerra civile siriana si incastona nel contesto delle primavere arabe, cioè dei movimenti che sono stati descritti come rivolte popolari volte alla rivendicazione di maggiori libertà e garanzie nei confronti dello stato. È bene ricordarsi che laddove queste rivolte hanno avuto successo senza sfociare nella violenza, lo stato di fatto di quelle realtà non è affatto cambiato e le riforme rimangono solamente di facciata, con la differenza che un presidente si è dimesso ed un altro l’ha sostituito, vedi ad esempio l’Egitto. Nei paesi che sono stati invece meno fortunati in cui le rivolte sono poi mutate in guerre civili, le situazioni che hanno prodotto sono state peggiori di quelle che hanno lasciato, con instabilità ed anarchia che regnano sovrane, ed è il caso della Libia e della Siria.
Quando le rivolte ebbero inizio molti speravano che si trattasse di un movimento di emancipazione nato dalle migliori delle intenzioni: abbattere un regime autoritario e avviare un processo di democratizzazione per ampliare le libertà e iniziare un processo di fioritura culturale e sociale. Tuttavia, quel sogno si è rapidamente trasformato in un incubo. L’instabilità che queste rivolte hanno causato ha aperto il paese a una pericolosa frammentazione politica, etnica e religiosa, scoperchiando il vaso di Pandora che giustificava la presenza di un entità politica forte e coesa che riuscisse a comprendere sotto di sé tutte le anime profondamente diverse tra di loro, facendole coesistere in pace ed armonia. Questo arduo compito è stato portato a termine solo con l’instaurazione di una dittatura da parte della famiglia degli Assad.
Perché, che ci piaccia o no, dobbiamo accettare che il processo di democratizzazione delle nazioni non può avvenire da un giorno all'altro tramite un imposizione dall’alto, ma è possibile solo tramite una lento e progressivo sviluppo culturale, economico e sociale. Processo che non può e non deve assolutamente essere turbato da una guerra o da maggiore instabilità politica o da movimenti romantici di chi pensa che cambiando una legge magicamente si possa cambiare la realtà.
La Siria si è trasformata in un teatro di guerra in cui hanno trovato spazio fazioni di ogni colore, ognuna con obiettivi diversi: gruppi jihadisti, movimenti opposizione armata, milizie etniche e potenze estere che hanno iniziato a perseguire i propri interessi politici e religiosi.
Questo mosaico di conflitti in cui nessuna fazione è riuscita a ottenere il pieno controllo, ha portato alla disgregazione della Siria in parti ostili tra loro: ribelli, jihadisti, ISIS, Assad, Hezbollah, la Turchia che occupa vaste zone del nord della Siria abitate dai curdi, sono nomi che evocano la devastazione e la frattura di un paese che oggi sembra irrimediabilmente diviso.
Così, ciò che era nato con l’intenzione di costruire una nuova Siria è diventato il simbolo della sua frammentazione: un conflitto senza vincitori, con milioni di vittime e una nazione che rischia di non trovare mai più la pace in cui a pagarne il caro prezzo sono state tutte quelle minoranze che prima di questa guerra avevano un posto sicuro in cui vivere in pace e libertà mentre ora sono perennemente in fuga e persecuzione.
Non è mia intenzione negare i crimini e le brutalità che il regime di Assad ha commesso durante questa guerra, ma la mia domanda è questa: che posto è oggi la Siria?
La Siria era quella nazione in cui religioni, confessioni, etnie e culture diverse riuscivano a convivere pacificamente insieme, sotto il governo di chi rappresenta proprio una minoranze, essendo la famiglia di Assad di confessione Alawita, una branca minoritaria della minoranza sciita. Oggi la Siria è quella nazione in cui la popolazione è in mano a chi sa usare con meno scrupoli la violenza, la forza e la brutalità, di chi in nome della libertà ha negato i diritti più fondamentali e prioritari dell essere umano: primo tra tutti il diritto alla vita.
Un ragazzo siriano
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