mercoledì 1 maggio 2024

Congo: tutto quello che non vi vogliono far sapere


Riporto l’appello-denuncia della guerra infinita fra Congo e Rwanda. La situazione tra il gigante africano e il piccolo paese confinante è incandescente. Il Rwanda, protettorato angloamericano, sta depredando da decenni le risorse congolesi, causando massacri protratti della popolazione civile, che poco hanno da invidiare – si parva licet – al genocidio palestinese. 

 

Da quattro anni in Congo si parla di un accordo segreto fra l’attuale presidente congolese Felix Antoine Tshisekedi Thsilombo e il suo omologo rwandese, Paul Kagame. La notizia mi venne data da una persona molto inserita nell’establishment congolese. Le diedi un peso relativo, convincendomi in seguito che fosse ben altro che una boutade. 

 

I sospetti che aleggiano sul presidente congolese riguardano la possibilità che abbia “venduto” l’est del paese al nemico storico rwandese, e quindi all’anglosfera, autorizzando anche l’altra potenza locale, l’Uganda di Museveni, a fare man bassa di risorse strategiche. Il progetto di dividere il Congo a metà, creando un nuovo paese “dei Grandi Laghi” – seguendo la dorsale della Rift Valley africana è storia antica: la balcanizzazione del Congo è sul tavolo delle potenze coloniali da diversi decenni. Nel 2015, il governo Matata Ponyo Mapon, sotto la presidenza Kabila, procedette al decoupage delle province storiche, portandole da 11 a 26. 

 

Tshisekedi ha inoltre depauperato l’esercito che manca non soltanto di armi, ma anche di libagioni. Per lunghi mesi spesso ai soldati non viene corrisposto lo stipendio – che si aggira intorno ai 35 dollari mensili motivo per il quale spesso e volentieri si fanno al saccheggio dei villaggi e delle cooperative minerarie, consegnando poi il bottino al “pagante peggiore”, vale a dire le stesse milizie irregolari rwandesi o gruppi di “ribelli”. Queste operazioni avvengono sotto la guida di alti ufficiali, il che ha dato luogo ad una struttura piramidale di tipo feudale. 

 

L’anno scorso Tshisekedi si rese protagonista di un siparietto col presidente francese Macron, accusandolo pubblicamente di paternalismo. Erano i giorni in cui la Francia cominciava a perdere la presa su paesi come il Burkina Fazo e il Niger. Tshisekedi fu salutato come l’ennesimo leader africano che prova ad affrancarsi dal colonialismo infinito praticato dall’Occidente. Nei fatti si trattò di una mascherata, una strategia forse tesa ad ottenere benefici personali. Infatti la sua retorica anti-occidentale è prontamente rientrata. 

 

Lo scorso novembre, Tshisekedi è stato rieletto per il secondo mandato in modo rocambolesco, con oltre il 70% delle preferenze. Per i due anni precedenti il paese era stato attraversato da continue e violente proteste contro il suo regime. Le accuse di brogli massicci – o persino la certezza dei medesimi completano un quadro sconfortante, legittimando i dubbi sul risultato elettorale. 

 

Si obietterà che anche il predecessore di Tshisekedi, Joseph Kabila Kabange, ha sfruttato la situazione a suo esclusivo vantaggio lungo i 18 anni della sua presidenza. È senza dubbio così, tuttavia bisogna riconoscere a Kabila il merito di aver trovato un equilibrio con forze soverchianti, impedendo che la situazione degenerasse: si è trattato, fino al 2018, di un conflitto a bassa intensità, comunque capace di produrre almeno 3.5 milioni di profughi. 

 

Certamente Kabila, di etnia rwandese per parte di madre (come la moglie di Tshisekedi, del resto), aveva trovato il modo di sfruttare la situazione a proprio vantaggio: le società minerarie che, attraverso una rete di prestanome, fanno capo all’ex presidente non si contano. Non di meno, anche se all’epoca magari la situazione appariva ugualmente gravissima, lo era in misura certamente minore di quella attuale. A conti fatti però, sembra che anche quell’equilibrio precario sia venuto meno: le contraddizioni e gli accordi più o meno trasparenti durante il primo quadriennio della presidenza Tshisekedi esplodono ora con il loro carico di contraddizioni. 

 

Tshisekedi peraltro si avvantaggia del fatto di essere il figlio di Ethienne Tshisekedi, premier del primo governo Kabila in seguito passato all’opposizione, oggi defunto e consegnato alla memoria dei suoi concittadini come il “Mandela congolese”. Una reputazione che non sembra essere stata ereditata dal figlio. 

 

Negli ultimi giorni, si è levata la voce del cardinal Ambongo Besungu, il primate del Congo erede di Malula – grande oppositore di Mobutu Sese Seko – e di Monsengwo Pasinya, fiero avversario di Kabila, il quale ha criticato duramente il governo sulla situazione securitaria che sta martoriando l’est del paese. L’irritazione del governo è stata forte, e si temono ritorsioni. 

 

La Chiesa Cattolica in Congo – circa il 65% dei fedeli sono fedeli a Roma – esprime un’autorità molto amata e rispettata anche dai non cattolici: durante la cosiddetta Prima Guerra Mondiale Africana, che in Congo fece circa cinque milioni di morti, preti e vescovi cattolici furono le uniche autorità a non abbandonare la popolazione in un frangente tragico, al punto che il cardinal Monsengwo Pasinya presiedette il parlamento congolese nella delicatissima fase che seguì la caduta di Mobutu. 

 

Tshisekedi non oserà toccare il cardinal Ambongo, tuttavia il deterioramento della situazione geopolitica internazionale, con l’attenzione e le risorse anglo-americane rivolte altrove, potrebbe genere a breve un pauroso caos istituzionale. Le numerose ombre e falle del regime Tshisekedi potrebbero presentare il conto in pochi mesi, o addirittura settimane. È un rischio concreto. 

 

Pluto 

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