Parto dall’affermazione recente di Benjamin Netanyahu, che ha definito il popolo d’Israele come “popolo eterno”. Tanto per cominciare, non si vede quale autorità possa avere, in campo religioso, un capo del governo, il quale peraltro è sottoposto ad una serie di critiche, soprattutto da parte degli ebrei ortodossi. C’è appena stata una manifestazione oceanica (un milione di persone su nove milioni che vivono in Israele) contro la sua politica, per cui tale affermazione sembra più il tentativo disperato di rimanere al potere e di essere ancora sostenuto dagli Stati Uniti piuttosto che il prodotto di una meditazione personale.
I
mezzi di comunicazione occidentali fanno di tutto, come al solito, per cercare
di giustificare questa affermazione, dicendo che si riferisce alla tradizione
ebraica (della quale, peraltro, non conoscono nulla).
Ma
cosa dice effettivamente la tradizione ebraica? La risposta non è semplice,
essendo l’ebraismo estremamente complesso e non essendoci una interpretazione
unica e accettata da tutti dei sacri
testi. Inoltre andrebbe precisato che l’ebraismo non si fonda solo sull’Antico
Testamento, bensì anche sulla Mishnàh e sul Talmud, oltre che sui Midrashim.
Soprattutto la Mishnàh, un’ampia raccolta di tradizioni orali dei rabbini dal
50 a.C. al 200 d.C, viene considerata, dall’ebraismo rabbinico, talmente
importante da essere posta addirittura ad di sopra della Bibbia.
Veniamo
ora alla questione del “popolo eterno”, espressione che sa molto più di
politica che non di religione: se si intende che tale espressione voglia
indicare la continuità del popolo ebraico nella storia, cioè che non possa
essere totalmente annientato, può avere un senso, come lo può avere per
qualsiasi popolo che non voglia essere eliminato dal corso della storia.
Bisogna però dire che nulla è eterno, se non Dio solo e che tutto avrà una
fine, per cui il termine appare inappropriato, almeno nell’accezione italiana.
Forse sarebbe meglio parlare di “popolo eletto”, scelto da Dio per rendersi
manifesto a tutti gli uomini. E in tale significato questo potrebbe benissimo
essere sostenuto anche dai cristiani, anzi, lo è stato e lo è tutt’ora.
Ma
ciò che più balza all’occhio, sentendo frasi di tal fatta e gesti assolutamente
irragionevoli dall’altra, è che qui di religioso non sembra esserci granché.
Anzi, chi attribuisce a sé una qualifica propria di Dio pecca di orgoglio:
assume su di sé ciò che è proprio di Dio. E’ Jahvé che può affermare, parlando
di sé, “Io sono colui che sono”, cioè colui che era, che è e che sarà, appunto
l’Eterno. L’eternità non è
l’allungamento indefinito nel tempo, come può avvenire per gli esseri umani: è
un’altra dimensione, nella quale il tempo non esiste neanche più, anzi, non è
mai esistito. Dio è fuori dal tempo, avendolo peraltro creato; il tempo è stato
creato insieme alla Terra, non è una realtà indipendente da essa. Einstein ci
ha fatto capire che è relativo allo spazio e alla velocità, per cui se non
esistono queste due realtà non esiste neanche il tempo.
Allora
affermare di essere il popolo eterno non solo è un’incongruità razionale, ma
risulta essere anche una indebita appropriazione di un attributo di Dio stesso;
risulta essere una bestemmia, in quanto è come se ci si facesse uguali a Dio; è
come se ci si sostituisse a Dio. Questo è il vero dramma del popolo ebraico, a
mio parere: che, avendo perso la fede nella venuta del Messia, che non arriva
più, ha identificato se stesso con Dio: Israele è il popolo di Dio, anzi,
diventa Dio stesso, che ha sofferto più di ogni altro e con le sue sofferenze
ha ottenuto la sua salvezza. Si è conquistato con le sue forze il primato di
popolo eletto, per cui ha il diritto di fare ciò che vuole per difendere la
propria esistenza.
Mi
viene in mente un’altra persona che si era attribuita le qualifiche di Dio,
identificandosi con la Legge e con il Tempio e sostenendo di essere padrone
anche dello Shabbat, ma se non sbaglio non fu trattato con i guanti dagli ebrei
del tempo, che fecero di tutto per mandarlo a morte. Per quale motivo? Perché
si era fatto simile a Dio, aveva identificato se stesso con le prerogative di
Dio, e questa era considerata la massima delle bestemmie per gli ebrei.
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