Sempre più spesso, in questo periodo, stanno avvenendo rivolte contro i regimi da parte della popolazione infuriata, e talvolta le proteste assumono la forma di una vera e propria rivoluzione Questo è sicuramente ciò che è accaduto in Nepal, dove i giovani hanno guidato la rabbia della gente e hanno dato l’assalto ai palazzi dei politici, arrivando addirittura a dar fuoco al Parlamento. La protesta è stata così forte che il governo si è dimesso ed ora c’è una amministrazione provvisoria per sei mesi, per rendere possibili nuove elezioni.
Io sto seguendo la
questione dall’inizio, ma faccio molta fatica a fidarmi dell’informazione dei
media italiani, e preferisco chiedere direttamente ai miei amici nepalesi. L’altro
ieri, per esempio, durante una festa dell’Associazione dei nepalesi residenti
all’estero alla quale ero stato invitato, ho chiesto ad uno di essi di
raccontarmi le cose fondamentali di questo cambiamento. Lui mi ha detto. “è
stata una rivoluzione!”. Poi ha aggiunto. “tutto il mondo ne parla, ma in
Italia no”. “Ci sono stati 80 morti e circa 4000 feriti”. “L’esercito sparava
direttamente sulla gente; i soldati miravano alla testa e al cuore, per
ammazzare, mentre dovrebbero prima sparare in aria e poi nelle gambe”. E
continuava a ripetere: “sparavano nella fronte, per uccidere!”. Poi aggiunse. “il
primo giorno sono stati i giovani, poi c’erano degli uomini che ci sapevano
fare….”. “professionisti”, suggerisco io. “Sì, esatto, proprio professionisti”.
Ma se un popolo mite
come quello del Nepal arriva a tanto, penso io, la situazione deve essere stata
veramente grave! Io conosco tante persone di quel Paese e noto che tutti
lavorano, anzitutto: non c’è nessuno che non faccia nulla e non mi risulta che
nessuno di loro spacci droga o sia nel giro della prostituzione, come invece
avviene in altri gruppi etnici. Amano trovarsi per mangiare la cucina nepalese
e per danzare i balli della loro Nazione, ed è immancabile il coro in piedi
per l’inno nazionale. Fanno molte feste induiste e talvolta anche buddiste, ma
non disdegnano di organizzarsi anche per il Natale.
Quindi, cari
giornalisti nostrani, una domanda potreste porvela. Evidentemente la corruzione
dei politici era arrivata ad un punto eccessivo, per cui quando il governo ha
vietato l’uso delle piattaforme sociali escluse quelle cinesi la popolazione
non ne ha potuto più e si è ribellata.
Ma cosa fanno i
nostri addetti all’informazione, per non far pensare la gente? Enfatizzano
delle notizie marginali per ridimensionare quelle veramente importanti: mandano
in onda un servizio di dieci minuti sui cinque italiani morti in Nepal per
evitare di parlare in maniera approfondita di quanto sta succedendo in quel
Paese. Ora, è chiaro che la disgrazia che ha colpito quei nostri sventurati
connazionali è una tragedia, ma dieci minuti in un telegiornale sono un’eternità,
ed è il modo con il quale si vuole catalizzare l’attenzione su quel fatto,
trascurando la questione veramente importante, cioè la rivoluzione avvenuta dal
basso.
Si ha l’impressione
che l’informazione italiana, salvo rari casi, sia tutta per il potere
costituito e non veda di buon occhio la partecipazione popolare, che spesso
viene etichettata come “i ribelli”. Ribelli a chi? All’ordine costituito, che
viene considerato giusto ed immutabile. Il popolo deve sottostare a chi comanda,
chiunque esso sia.
Altro esempio
lampante, che anch’esso ho seguito da vicino, è quello delle ultime elezioni in
Camerun: è stata data una notizia laconica, che Paul Biya è stato rieletto. Dei
50 morti e centinaia di feriti, nessuna traccia. Dell’arresto di un camerunense,
a Roma, che aveva pacchi di schede truccate per far vincere Paul Biya, meglio
non parlare. Della rivolta della gente del nord del Paese che ha marciato su Yaounde,
la capitale, perché il candidato dell’opposizione era del nord, tu ne hai
sentito dire qualcosa?
Beh, d’altronde i
regimi sono dittatoriali solo quando non sono allineati al potere occidentale,
no? Che un presidente della Repubblica faccia cambiare la Costituzione per rimanere
al potere vita natural durante e lo sia già da quarantatrè anni, questo non fa
porre alcuna domanda sulla reale democrazia in quel Paese. Basta che sia
filo-francese, filo-occidentale, et voila’.
Per cui se un uomo
di novantatrè anni viene eletto e il mandato presidenziale è di sette anni, come
in Camerun, si trova assolutamente naturale il fatto che egli possa rimanere al
potere fino all’età di cento anni.
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