sabato 11 ottobre 2025

INTESA ISRAELE - HAMAS: POSITIVITA' E CRITICITA'

 E' sicuramente una bella notizia l'annuncio di una tregua tra Israele e Hamas da parte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump; bisogna però precisare anzitutto che non è stato siglato un accordo di pace vero e proprio, bensì solo una tregua. occorre poi aggiungere che la tregua è già stata violata da Israele, che vuol mantenere il controllo di alcune zone strategiche della Striscia di Gaza. Il rilascio degli ostaggi dovrà avvenire domani, domenica 12 (sono circa 2000 gli ostaggi palestinesi detenuti e torturati nelle carceri israeliani, contro 20 ostaggi israeliani). Il ministro Smitrich si è dichiarato contrario alla firma degli accrodi di pace, così come anche Ben Gvir, che ha detto che non possono essere rilasciati degli assassini (come se loro fossero agnellini mansueti). Staremo a vedere:

Ciò che lascia più basiti in tutta questa vicenda è la faccia di tolla del governo italiano: da Giorgia Meloni che si attribuisce il merito di aver contribuito al processo di pace, ad Antonio Tajani, che non ha mosso un dito per proteggere gli italiani arrestati illegalmente in acque internazionali, fino ad arrivare al coro che inneggia al Nobel per la pace per Donald Trump, che risulta quantomeno imbarazzante, da parte dei rappresentanti di uno Stato che dovrebbe essere sovrano. la totale sudditanza al potere anglo-americano (e quindi israeliano) del nostro governo è indice di una assoluta mancanza di coerenza rispetto ai principi che avrebbe dovuto seguire e risulta ridicola, soprattutto quando si afferma che l'apporto dell'Italia ha avuto una qualche rilevanza. 

Di sotto l'intervista ad Orsi rilasciata su Visione TV

https://youtu.be/7wRbQCtPx6w?si=Crd5zS4x5jj6kYAP 

mercoledì 8 ottobre 2025

ERA ORA

 Giorgia Meloni è stata denunciata alla Corte Penale Internazionale per concorso nel genocidio palestinese. Insieme a lei sono stati denunciati il ministro degli esteri Antonio Tajani, il ministro della difesa Guido Crosetto e l'anninistratore delegato di Leonardo, Roberto Cingolani.

I mezzi di comunicazione nostrano di affannano a dire che la Corte Penale Internazionale non conta niente, perché vi aderiscono "solo" 122 Stati, invece dei 193 dell'ONU e non ne fanno parte gli Stati Uniti d'America, la Russia, la Cina e Israele (guarda caso!).  I media puntualizzano poi che Netanyahu ha, sì, un mandato di cattura internazionale, ma non è mai stato ufficialmente incriminato per genocidio.

 E' strabiliante il tentativo di giustificare in tutti i modi l'operato di Israele, da parte della maggior parte dei giornalisti italiani. I vari Capezzone, Porro, Giordano, Sallusti, Sechi, che penosamente cercano di portare avanti la narrazione israeliana, dovrebbero forse chiedersi che cosa vuol dire fare il giornalisti.

Comunque Italia fa parte della Corte Penale Internazionale e questo esposto farà iniziare delle indagini al riguardo. Tra i firmatari, una cinquantina di intellettuali, avvocati, giornalisti, Alessandro Di Battista e Moni Ovadia. Circa 35.000 persone hanno manifestato il loro appoggio all'iniziativa.

Molto opportuno, io trovo, coinvolgere anche Guido Crosetto, che fu consulente della Leonardo per diversi anni, guadagnando la somma di un milione e ottocentomila euro, e Roberto Cingolani, che è stato nominato da questo governo Meloni.. Ve lo ricordate quando era ministro della transizione econogica nel governo Draghi? Quando disse, soprappensiero, "E pensare che la Terra è stata programmata per tre miliardi di persone"?

 

martedì 30 settembre 2025

IL RED LINE INTERNATIONAL FILM FESTIVAL DI ANTONIO SPANO'

 




Abbiamo intervistato Antonio Spano’, regista cinematografico e ispiratore del Red Line International Film festival, una manifestazione che si svolge da due anni in Toscana, in provincia di Siena, con la partecipazione di molti operatori esteri.  

 

Ci potresti raccontare brevemente la storia di questo festival cinematografico?

 

Il festival internazionale di cinema indipendente Red Line International Film festival è nato nel 2024. La scelta è ricaduta su Montalcino, città conosciuta in tutto il mondo per la bellezza del suo territorio e il suo vino unico al mondo.

Ma non solo di materia vive l'uomo ed è per questo che abbiamo deciso di fondare un festival di cinema che portasse film di alta qualità in un borgo che non ha più un cinema aperto.

L'obiettivo è quello di fornire un luogo di incontro fisico tra le persone, con opportunità di scambio tra i registi e gli spettatori. Viviamo sempre di più in una società che rifugge e cerca di ostacolare lo scambio di opinioni tra le persone. Noi pensiamo invece che il fine ultimo del cinema sia quello di condividere storie e punti di vista. E' un dialogo, quello tra regista e spettatore, che si perpetua fin dalla nascita della settima arte.

 

Quali sono le dimensioni di questo festival?

 

Il Red Line Film Festival ha avuto 33 film in concorso, 4 sezioni, 3 premi in denaro, 650 film iscritti alla seconda edizione, 22 paesi rappresentati, più di 800 spettatori.

La seconda edizione del Red Line International Film Festival, nel 2025, è stata un percorso intenso, fatto di incontri, di scoperte e, soprattutto, di cinema.

Il nostro obiettivo era chiaro: offrire uno spazio fisico nel quale produzioni indipendenti potessero avere il loro "spazio".

 

 

Quale, secondo te, dovrebbe essere il ruolo del cinema nella nostra società?

 

Io credo che il cinema, anche e soprattutto quello indipendente, debba continuare ad essere un linguaggio necessario per leggere il presente. Le pellicole che abbiamo visto ce lo hanno confermato. Le
sale si sono riempite di storie, di visioni, di sogni.
 Abbiamo riso, abbiamo riflettuto, ci siamo commossi. Abbiamo ascoltato voci nuove e riscoperto maestri, viaggiato tra culture, paesi e sensibilità diverse. Il cinema ha fatto ciò che sa fare meglio: ci ha uniti, mostrandoci il mondo con sguardi diversi.

 

Ringrazio di cuore i registi che hanno scelto di condividere con noi i propri lavori. È una responsabilità e un atto di fiducia che non diamo per scontati. Ringrazio le giurie per la cura e l’attenzione e tutto lo staff organizzativo, i volontari, i tecnici e chi lavora dietro le quinte con
passione e discrezione. Voglio ringraziare anche il pubblico, che ha risposto con partecipazione, dimostrando coinvolgimento e spirito critico.

 

Chiudiamo questa edizione con la consapevolezza che il cinema indipendente non cerca scorciatoie. Chiede tempo, sguardo, ascolto. E trova forza proprio in questo. E noi saremo qui per nutrire quella forza. Perché il cinema ha senso solo se continua a vivere dentro di noi, ogni
giorno.

 

La prossima edizione si terrà dal 10 al 14 giugno 2026 e promettiamo tante sorprese.

 

 Due parole su Antonio Spano’

 

Nasce a Milano nel 1985; diventa regista e direttore della fotografia. Ha realizzato il suo primo documentario “Our Sky, our Land” nel 2009 in Irak, sulla questione curda, il problema del loro Stato e il genocidio compiuto da Saddam Hussein. “Our sky our land” fu selezionato in numerosi festival e ottenne il prestigioso premio “Unicef per la Pace – 2010”. In seguito Spano’ realizzò “The Silent Chaos” (2013), film selezionato in 70 festival tra i quali i David di Donatello 2013.

I suoi progetti successivi Animal Park (2014) e Inner Me (2016) sono stati selezionati in più di 240 festival internazionali e distribuiti in esclusiva a livello mondiale da Journeyman Pictures. Sono i documentari italiani più premiati (negli anni di riferimento, fonte cinemaitaliano.it). I suoi documentari sono stati distribuiti in numerosi paesi del mondo.

Il suo ultimo lungometraggio “Amuka” è girato in Nord Kivu, Sud Kivu, Masisi e Congo-Central nella Repubblica Democratica del Congo. Il film è un lungometraggio co-prodotto da Popiul e dalla televisione pubblica del Belgio RTBF, ricevendo il sostegno dal Ministero della Cultura del Belgio. 

Ha realizzato documentari e reportage per MTV e RAI in location come Libia, Haiti e Afghanistan. Come operatore di macchina ha collaborato con produzioni internazionali tra le quali per il film The Palio di Cosima Spender disponibile su Netflix.

Nel 2026 uscirà il suo primo cortometraggio di finzione “Come Zucchero dal Cielo” co-diretto insieme a Niccolò Lorini.


giovedì 25 settembre 2025

LA RETROMARCIA DI MELONI SU GAZA


Siamo così malmessi che, quando qualcuno dice che Giorgia Meloni è rimasta fascista, la prima tentazione è rispondergli con un paradossale “Magari!”.

 La destra missina in cui la nostra premier iniziò a fare politica nel 1992 dopo la strage di via D’Amelio aveva tutti i difetti che sappiamo, ma anche alcuni pregi che potrebbero tornarci molto utili oggi: era sociale, quindi mai avrebbe abolito il Reddito di cittadinanza e obbedito ai tecnocrati di Bruxelles; era legalitaria, altrimenti Borsellino non l’avrebbe frequentata in gioventù, quindi mai avrebbe nominato Nordio ministro della Giustizia e votato le sue schiforme della giustizia fino alla separazione delle carriere (che Borsellino aborriva); e in politica estera era multipolare, tendenzialmente antiamericana, filoaraba e più sensibile ai venti dell’Est che a quelli dell’Ovest, quindi mai si sarebbe sdraiata sugli Usa di Biden e di Trump (come se non fossero in antitesi), sullo sterminatore Netanyahu, sulle politiche guerrafondaie e russofobe della Nato e dell’Ue. Purtroppo, appena giunta a Palazzo Chigi, anziché liberarsi dei tanti difetti, ha gettato a mare i pochi pregi.

Nel 2009 la Meloni, ministra della Gioventù del governo B. 4, si reca in visita a Betlemme per portare solidarietà ai giovani palestinesi, firma un protocollo col rettore dell’Università per finanziare con 200 mila euro progetti di microcredito e cita papa Giovanni Paolo II: “Più ponti e meno muri”. Nel 2014 Netanyahu attacca Gaza per colpire Hamas, ma fa 2.200 vittime civili. E la Meloni twitta: “Un’altra strage di bambini a Gaza. Nessuna causa è giusta quando sparge il sangue degli innocenti. Israele e Palestina, due popoli due Stati”. 

Nel 2015 la Meloni firma una mozione parlamentare di FdI con Rampelli, La Russa, Cirielli e altri per chiedere al governo Renzi di riconoscere lo Stato palestinese e condannare l’espansione delle colonie israeliane in Cisgiordania. E quando il Parlamento a maggioranza renziana gliela boccia, tiene il punto: “Fratelli d’Italia crede da sempre alla soluzione ‘due popoli, due Stati’”. Nel 2020 Trump sposta l’ambasciata Usa in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme: Salvini propone che anche l’Italia riconosca Gerusalemme capitale d’Israele, ma la Meloni si dissocia: “Quel gesto rischia di esasperare la tensione in una regione già fragile”. 

Oggi, per compiacere Trump, dice che riconoscere lo Stato palestinese è un atto “controproducente” e “prematuro”. “Controproducente” già non si può sentire: al massimo è inutile, perché puramente simbolico e autoassolutorio: per fare qualcosa di utile l’Italia, terzo esportatore di armi a Israele, dovrebbe smetterla. Ma in che senso un atto che era tempestivo e doveroso nel 2015 diventa “prematuro” nel 2025?

Marco Travaglio

martedì 16 settembre 2025

CHI VUOLE LA TERZA GUERRA MONDIALE

 Applicare l'articolo 5 del Trattato della NATO all'Ucraina è il modo migliore per scatenare la Terza Guerra Mondiale, in quanto tutti i Paesi della NATO sarebbero legittimati ad intervenire pesantemente contro l'"aggressore", la Russia. Già adesso le Nazioni occidentali stanno facendo di tutto per provocare la reazione di Putin: queste vicende dei "droni" sulla Polonia, che si sono rivelate prive di reale fondamento, confermano la decisa volontà dell'Unione europea e del Regno Unito a far scoppiare il conflitto vero e proprio. 

la costituzione del gruppo dei "volenterosi", appena insediato Trump che invece avrebbe cercato di arrivare ad un accordo con Putin, è sintomatica. la proposta della Von der Leyen di innalzare a 800 miliardi la spesa militare dell'Unione europea per sostenere l'Ucraina è un indice che l'U.E. vuol continuare la guerra, anzi incrementarla. Ma tutte le dichiarazioni e le azioni di Kaya Kallas, di Merz, di Starmer, di Macron, e per finire della Meloni sono sempre per un inasprimento dei rapporti con la Federazione russa e incitano alla guerra, fino alla distruzione totale del nemico.

Si ha l'impressione che tutti i governanti europei abbiano perso il senno, oppure che agiscano su ordine di qualcuno che li comanda, tanto le loro dichiarazioni e i loro atti sono folli. 

L'Italia ha spedito undici pacchetti di armi all'Ucraina, che peraltro in parte le rivende ad altri Paesi, aumentando così la conflittualità in tutto il globo. Nessuno parla di sanzioni ad Israele, che sta facendo molto peggio di quanto non faccia la Russia, e si continuano a mandare armi e il governo italiano blocca anche le sanzioni economiche nei riguardi di quello Stato che comanda il mondo attraverso il sistema economico-finanziario. 

Intanto diciotto pacchetti di sanzioni sono stati comminati alla Russia e sono passate tutte le imposizioni di Trump sia per i dazi che per le riforniture energetiche. Adesso compriamo il gas quattro volte tanto rispetto a quello che pagavamo per il gas russo, e questo avviene con un governo che ha blaterato di sovranismo fino ad un attimo prima di salire sulle poltrone. Sulle quali vorrebbero rimanere cinque anni, per stabilire il primato di durata del governo in Italia. Ma a chi gioverebbe se Giorgia Meloni rimanesse per tutta la legislatura al governo? Alla Leonardo, che sta facendo affari d'oro soprattutto dopo i contratti stipulati con gli Emirati Arabi Uniti e con la Turchia?

venerdì 12 settembre 2025

ADDIO AD UN MARTIRE DEL CONSERVATORISMO CRISTIANO MILITANTE

 


“Una famiglia forte, radicata nella fede, è la prima linea di difesa in un mondo in rovina” (Charlie Kirk, 1993-2025)

Colpisce ancora l’odio progressista (e, stando ai fatti, “progressivo”) dei jihadisti woke della composita e (a tratti) liberal-democratica società statunitense. Questa volta non si tratta di minacce, censura o procedimenti disciplinari inferti a qualche professore universitario (come Jordan B. Peterson) o ad altri presunti “neofascisti” conservatori, bensì di un colpo fatale che ha spezzato la vita al tanto amato quanto odiato trentunenne Charlie Kirk. Una morte improvvisa, avvenuta il 10 settembre, causata da un proiettile sparato con precisione al collo di Kirk da un cecchino, mentre l’audace conservatore trumpiano stava tenendo uno dei suoi consueti dibattiti aperti al campus della Utah Valley University.

Devoto cristiano evangelico (vicino alla conversione cattolica), marito e padre amorevole, da sempre impegnato nella difesa dei valori cristiani e della libertà di parola, Charlie Kirk ha affrontato con coraggio ed enorme dedizione folle di collegiali woke schierati a favore di aborto, immigrazionismo clandestino e ideologia gender. Era noto per la sua appartenenza al movimento MAGA e per l’instancabile attivismo nella sua onlus “Turning Point USA” (rete studentesca co-fondata con Bill Montgomery alla tenera età di 18 anni e oggi diffusa in migliaia di campus, capace di ispirare milioni di giovani a pensare con la propria testa). La presenza sulle reti sociali e il successo del suo podcast (“The Charlie Kirk Show”), oltre a numerose apparizioni pubbliche e provocatorie nei campus universitari, lo avevano reso inarrestabile e alquanto scomodo alla comunità progressista.

Rimarranno nella storia i suoi arguti dibattiti nei college (da lui considerati campi di indottrinamento al pensiero di sinistra ed ostacolo ad una sana ed efficiente istruzione) dove, invitando anche i woke più estremi e ostili al confronto libero e diretto, rispondeva con maestria e schiettezza alle obiezioni e provocazioni più assurde lasciando (quasi) sempre spiazzati i suoi più inferociti interlocutori. I temi più dibattuti sono stati: l’aborto (fermamente condannato da un dichiarato “pro-vita” come Kirk), l’apertura dei confini nazionali e il giustificazionismo dell’immigrazione clandestina (tanto cara e difesa dai paladini woke), la libertà di parola e di religione (argomento scottante per i giovani progressisti, sempre molto inclusivi con i musulmani e le loro pretese, ma severi censori del cristianesimo), le folli politiche di “inclusione” di transgender e altri soggetti non ascrivibili al “discriminatorio e bigotto” (ma pur sempre “naturale”) sistema binario in competizioni sportive, prigioni, bagni pubblici, spogliatoi ecc., i benefici della politica Trump sulla vita ed economia americana, il libero mercato, il governo limitato e la libertà (oltre che responsabilità) individuale. In relazione a questi ultimi temi Kirk, come altri noti conservatori, ha sempre criticato (fornendo dati incontestabili) i sistemi socialisti, comunisti e quelli improntati su forme di anarchia sociale (sostenuti da lobby neomarxiste come Black Lives Matter ed estremisti ecologisti legati a Greta Thunberg). Insomma, un boccone troppo amaro per il collegiale medio americano, intriso di contorte ideologie e di quel patologico vittimismo che contraddistingue larga parte della gioventù cresciuta sotto i governi Obama/Biden, il costante bombardamento di messaggi luciferini (provenienti da musica e film) e di una narrazione contraddittoria e falsata da personaggi politici e autorità scolastiche. Ultimo ma non meno importante, la sua critica ad Hamas e alle ondate di chiara discriminazione e violenza nei confronti di studenti ebrei da parte di pacifici rivoltosi woke “propal” armati di bandiere palestinesi e arcobaleno (non per tutti un chiaro ossimoro) ma incapaci di indicare su una cartina la striscia di Gaza o di comprendere le origini di questo doloroso conflitto.

È innegabile che Charlie avesse un dono speciale: nessuno come lui sapeva toccare il cuore dei giovani attraverso la verità e l'esercizio della ragione. Usando il dialogo costruiva ponti, dove altri alimentavano divisioni, in grado di unire persone diverse nella sola autentica Verità che alberga in fondo all’animo di ciascun uomo. Sapeva ascoltare, incoraggiare i giovani a porsi domande su quanto veicolato dalla narrazione dominante. Invitava inoltre ragazzi e ragazze a non rinunciare a matrimonio e figli per una vita incentrata sulla sola carriera professionale. Charlie credeva fermamente che la verità si forgiasse nel dialogo e non nel silenzio imposto dalla paura. Come diceva lui stesso: “Quando le persone smettono di parlare, è allora che avviene la violenza. È allora che avvengono le guerre civili perché inizi a pensare che l'altra parte sia così malvagia, e perde la sua umanità”.

Messaggi di sentito cordoglio sono arrivati dall’amico presidente Donald Trump, da Benjamin Netanyahu e dal fronte conservatore ma anche dalla nostra onlus Pro Vita e Famiglia che lo ha ricordato come un martire nella lotta a difesa della Famiglia e della Vita fin dal suo concepimento. Mentre sorge il timore di nuovi attentati a personalità conservatrici (quali Matt Walsh, Ben Shapiro, Michael Knowles e Douglas Murray) vicine a Kirk e impegnate in prima linea nelle stesse campagne, tutti noi ci uniamo in preghiera affinché non accadano più tali tragedie e ci siano sorveglianza e sistemi di sicurezza più incisivi in occasione di simili comizi. Un proiettile sventato (come accaduto al presidente Trump) può arrivare a destinazione in successive occasioni. Il brutale omicidio di Kirk è un triste e chiaro promemoria che la libertà non è mai scontata. Charlie mancherà a moltissime persone ma la sua eredità rimarrà nel cuore di chi lo ha amato e forse anche in quello di alcuni suoi detrattori ai quali è stata sempre data piena libertà di controbatterlo e accusarlo di bigottismo e fascismo.

Irene Visciano

giovedì 11 settembre 2025

RIVOLTA GIOVANILE IN NEPAL

 


 Mi trovo con un amico nepalese che ad un certo punto mi chiede: “Ma tu sai cosa sta accedendo in Nepal?”. “No, veramente”, rispondo io. “Il governo si è dimesso”, incalza lui, “Hanno protestato i giovani dai 18 ai 28 anni, ed erano 100.000 a Katmandu”. “Per la popolazione del Paese sono tanti” osservo io. “Sì, perché il capo del governo aveva vietato l’uso delle reti sociali in tutta la Nazione, escluso Tik Tok”. “E questo appena tornato dalla Cina”, aggiunge lui, per farmi capire meglio. Le proteste sono state contro il divieto di usare le piattaforme sociali (ben 26, tra cui Facebook, Instagram, X, Youtube, What’s up) e contro la corruzione. E’ quella che i media hanno chiamato “la rivoluzione della generazione Z”. Il governo aveva imposto il coprifuoco e l’esercito aveva ripreso il controllo delle strade della capitale. Le proteste però erano continuate e i manifestanti avevano bloccato strade, assaltato palazzi dei politici e appiccato incendi, suscitando la reazione delle forze armate. E’ stato dato a fuoco anche il Parlamento. In tutto ci sono stati 22 morti e circa 400 feriti.

 

Io però voglio rendermi conto anche della situazione istituzionale. “Quindi adesso non c’è un governo?” “Certo, come tempo fa in Bangla Desh”. Poi soggiunge: “il presidente dovrà scegliere un altro candidato”. “Ma scusa, il presidente del Nepal si è dimesso?”. “Sì”, risponde lui. “E come si chiama?”. “KP Sharma”. “Ma è anche capo del governo?”. “Sì”, dice lui, ma nella sua voce avverto una qualche incertezza. “Allora il Nepal è una repubblica presidenziale?”. Lui risponde affermativamente, ma è ancora più titubante. Io però non sono convinto, e incalzo: “E come si chiama il presidente della repubblica?”. “Ram Chandra Poudel”. “Ma allora non è una repubblica presidenziale, bensì parlamentare!” concludo io. “Se fosse stata presidenziale il capo dello Stato e il capo del governo sarebbero la stessa persona!”. “Sì”, ammette lui, “KP Sharma è il primo ministro, mentre Ram Chandra Poudel è il presidente della repubblica”.

 

Poi lui continua: “Adesso il presidente dovrà nominare un altro capo del governo, perché al momento non c’è nessuno”. E aggiunge: “Forse domani…”. “Ma adesso chi comanda, in Nepal?”. “L’esercito”, risponde lui. Vengo a sapere che c’è stato un incontro tra il movimento giovanile di protesta e le forze armate. Vengo a sapere inoltre che il presidente della repubblica era scappato in elicottero per sfuggire alle violenze dei manifestanti. Tornato, ha poi nominato “ad interim”, cioè temporaneamente, il precedente capo del governo, KP Sharma, fino all’insediamento del nuovo esecutivo.

 

Insomma, il mondo sta diventando sempre più una polveriera, in questa “terza guerra mondiale a pezzi”, per usare un’espressione di Francesco. Ma nello stesso tempo assistiamo a dei movimenti di protesta dal basso, come questo guidato dai giovani nepalesi, che arrivano addirittura a costringere il governo a dare le dimissioni. I popoli devono riprendere in mano la loro sovranità e poter decidere il cambiamento, come è avvenuto in questi giorni in Nepal.


Poi, se vogliamo proprio dirla tutta, cioè risalire alle cause di questa rabbia incontrollata e apparentemente esagerata, il Nepal è sempre stato uno dei Paesi più poveri del mondo e i giovani faticano moltissimo a trovare lavoro, tanto che circa un terzo della popolazione nepalese è emigrato all'estero. Per non parlare della corruzione, che arriva a livelli altissimi ed è una vera piaga nazionale.

 


INTESA ISRAELE - HAMAS: POSITIVITA' E CRITICITA'

 E' sicuramente una bella notizia l'annuncio di una tregua tra Israele e Hamas da parte del presidente degli Stati Uniti Donald Trum...