Questa ve la devo proprio raccontare, perché fa
capire il “clima” in cui viviamo, nell’attuale Italietta che sembra avere
smarrito ogni forma di sano buon senso. Beh, il fatto è molto semplice, di per
sé: si tratta di una visita agli ex-studenti dell’anno scorso. Voi direte: e
allora, dov’è il problema?
Sentite un po’ la storia: ieri, 21 febbraio 2025,
venerdì, avevo una mezza idea di recarmi nel mio ex-Istituto Marie Curie/Piero
Sraffa. Già, “ex” in quanto sono felicemente andato in pensione il primo di
settembre 2024. Mi alzo la mattina presto perché dovevo fare degli esami
all’Ospedale san Luca, che è dietro casa mia, poi ciondolo per casa, ancora
indeciso sul da farsi. Poi improvvisamente mi arriva un messaggino da parte di
un amico insegnante di informatica che era al Curie/Sraffa l’anno scorso a che
adesso ha scelto un’altra scuola. Lui mi dice: “Vado a trovare i ragazzi a
scuola: vieni anche tu? Io prendo la palla al balzo e mi decido subito per il
“si’”: esco velocemente di casa e mi incammino a piedi, in quanto adesso voglio
seguire il mio contapassi e quindi approfitto di qualunque occasione per fare
una passeggiata.
Giungo alle 10.30, orario che avevamo concordato
per essere dai ragazzi durante il primo intervallo, che è dalle 10.50 alle
11.10, per non disturbare le lezioni. Vedo il mio amico, che invece è arrivato
in macchina; ci salutiamo ed entriamo. Scriviamo i nostri nomi all’entrata sul
libro delle presenze e ci rechiamo nelle aule dei nostri ex-studenti. A dire il vero adesso non è più neanche
facile trovare gli studenti, in quanto il Curie/Sraffa ha adottato la
sperimentazione Valditara secondo la quale ora sono le classi a spostarsi,
mentre il docente rimane nella sua aula. Ciò ingenera un movimento continuo di
studenti e chi viene da fuori non sa più come riuscire a trovare i ragazzi che
cerca.
Comunque dopo un po’ li troviamo, e le classi del
mio amico gli fanno una grandissima festa, anche perché lui li aveva
accompagnati in viaggio d’istruzione a Palermo e gli aveva proposto anche dei
progetti da seguire. Anche di me sono contenti, ma un po’ meno, in quanto
questa era la terza volta che andavo a salutarli. Stavolta mi avevano detto:
“Prof., venga che l’applaudiamo” per la scelta di finanziare un pozzo per
estrarre l’acqua in Camerun, sulla quale ero stato intervistato e che li aveva
molto entusiasmati.
Fin qui nulla di strano, direte voi: è normale che
due insegnanti tornino a salutare i loro vecchi studenti e che questi li
acclamino.
Ma adesso arriva il bello: mi si para dinanzi la
preside, accompagnata da una delle collaboratrici, in atteggiamento minaccioso,
con i pugni sui fianchi, e mi dice perentoriamente: “Lei non può stare qui”. “E
perché?” chiedo io. “Perché non ha la mia autorizzazione”, ribatte la preside,
e aggiunge: “Avrebbe dovuto mandarmi una e-mail chiedendo il permesso di
recarsi a scuola; gli estranei non possono entrare senza autorizzazione”. E
conclude: “Lei se ne deve andare dalla scuola”. Io sono allibito, ma rispondo: “Lei
non ha il diritto di mandarmi via dalla scuola”. E a questo punto la preside
pronuncia la sua frase fatidica, che secondo lei dovrebbe far capitolare il
“ribelle”: “Adesso chiamo i carabinieri!”. Io cerco di mantenere la calma,
perché purtroppo ho insegnato per decenni diritto e so benissimo che le forze
dell’ordine intervengono solo se c’è la commissione di un reato oppure il
fondato sospetto che questo avvenga, non per cacciare un insegnante che è
venuto a salutare i propri ex-studenti. Comunque mi rivolgo alla preside e le
chiedo “Ma lei ha il senso della realtà?” Poi guardo il gruppo di ragazzi che
nel frattempo si erano radunati davanti a noi per assistere allo “spettacolo”,
e dico: “Ma non è normale, questo non è normale!”
La preside si allontana e io vado alla ricerca del
mio amico; lo vedo discutere con la vicepreside, che gli dice “Lei non può
stare in questa zona”; lui risponde: “Ora mando una PEC al ministero per
segnalare questo fatto”. Poi andiamo via, il mio amico ed io, sia perché non vogliamo
continuare queste discussioni sterili sia perché ormai l’intervallo è finito.
Usciamo perciò dalla scuola, seguiti fin sulla porta dalla collaboratrice,
che con piglio arcigno vuole assicurarsi che veramente ce ne andiamo
dall’Istituto.
Siamo sconvolti dal trattamento che ci hanno
riservato, manco fossimo dei pericolosi terroristi o degli spacciatori di droga
venuti a rovinare i minorenni! Parliamo delle azioni che potremmo
intraprendere, soprattutto quella di rilevare quanto accaduto alle autorità e
anche ai giornalisti.
Commenti degli adulti: uno dice: “Si’, è assurdo.
Ha fatto così anche con due ex-insegnanti. Lei è la padrona della scuola”. Un
altro: “Ma cosa dici, è una vergogna. Però quella la fanno entrare” (una
addetta scolastica, ora in pensione, molto “collaboratrice”). E un terzo: “Sì,
ma anche quell’altra la fanno venire, quella che era in aula docenti, che gli
faceva gli addobbi in ogni occasione”. C’è poi chi si chiede: “Ma quale “autorizzazione”
è richiesta per far visita ai propri studenti? Bisogna scrivere in anticipo
alla preside ed avere il suo consenso scritto prima di poter fare una
tranquilla visita di saluto agli studenti?”
E i ragazzi: “Prof., ritorni lunedì, come sfida”;
“Tanto mal che vada chiamano i carabinieri, ma non possono fare nulla”; “Al
massimo si lega ad un termosifone”; “Con le manette”; “Lei deve mantenere la
sua posizione, se fossi in lei ritornerei tutti i giorni”. Oppure: “Sono
veramente sconvolta da quello che ha dovuto subire”; “No, prof. ma dove siamo
finiti. Mi dispiace molto ci si rivede un’altra volta”.
Pietro
Marinelli