La prima considerazione che mi viene da fare subito dopo l'elezione del nuovo Papa è che, come al solito, i giornalisti, italiani e non, hanno "toppato" alla grande. Le previsioni che si concentravano su di un cardinale italiano come Piero Parolin o Matteo Zuppi sono state completamente disattese e francamente tra tutti i "papabili" non mi sembra di aver mai visto il nome di Robert Francis Prevost, che poi ha scelto il nome di Leone XIV.
Ma anche le varie "predizioni": il Papa sarà eletto al primo scrutinio" "si chiamerà Francesco II" et similia, sembravano più aspettative che non analisi della situazione; abbiamo assistito, come sempre, a "sparate" "caxxate in libertà", e non ad un esame serio della questione. E mai che tali giornalisti ammettano di aver "ciccato" clamorosamente: insistono nel sostenere che Parolin fosse il "gran favorito". Favorito da chi? Dai salotti dei benpensanti, forse: chi abbia un minimo di conoscenza della Chiesa cattolica sa che è molto difficile che venga eletto Papa il Segretario di Stato vaticano. Generalmente i Cardinali preferiscono un uomo di esperienza pastorale, perché deve guidare la Chiesa universale ed avere quindi una visione d'insieme della realtà ecclesiale.
E' stata saltata anche la contrapposizione "conservatori-progressisti" che tanto piace ai mezzi di comunicazione, in quanto è stato eletto un uomo che non può essere definito certo un conservatore ma nemmeno rientra nella categoria dei progressisti ad oltranza. Allora la grande stampa lo definisce "di centro", dovendo trovare a tutti i costi una classificazione politica.
Invece i Cardinali hanno operato una scelta diversa, non politica ma ecclesiale, dando il loro voto ad un Cardinale di fede, immerso nel solco della tradizione della Chiesa e nello stesso stesso tempo aperto al dialogo. Robert Francis Prevost si è presentato alla folla riunita in piazza san Pietro vestito da Papa, con il nome di Leone XIV, che ricorda soprattutto Leone XIII, il Papa della Rerum Novarum, della lotta al socialismo ma anche alla massoneria, il Papa che forse più di tutti ha favorito le missioni cattoliche nel mondo intero.
I Cardinali hanno eletto un uomo che non è "etichettabile" facilmente, che sfugge alle categorizzazioni dei grandi mezzi di comunicazione, che non è "riducibile" agli schemi dei giornalisti o degli (pseudo) intellettuali di turno.
Per iniziare poi ha scelto il saluto di Gesù risorto agli apostoli riuniti nel Cenacolo: "Pace a voi!", ricordando che Dio ci ama tutti incondizionatamente; perciò ha parlato molto di pace ma come conseguenza dell'amore che Dio ha per noi, per cui anche noi dobbiamo tendere all'unità con Dio e tra di noi. Peraltro il suo motto di vescovo è "In illo uno unum": "In colui che è uno siamo uno"; siamo una cosa sola perché siamo uniti a Lui.
Ha scelto di scrivere il discorso e di non parlare "a braccio" per pesare le parole, oggi così importanti per l'uomo che deve guidare la barca di Pietro; ha ringraziato il suo predecessore e ha parlato di ecologia e di dialogo, ma ha fatto riferimento anche alla sua storia personale di agostiniano e di missionario in Perù, facendo un breve intervento in spagnolo. Singolare che non abbia detto neanche una parola in inglese, la sua lingua materna: probabilmente perché parlava come vescovo di Roma e quindi ha utilizzato la lingua italiana.
I giornalisti lo definiscono "il primo Papa statunitense", in realtà è il meno statunitense dei Cardinali americani, essendo incardinato nella Conferenza episcopale peruviana e non in quella degli Stati Uniti d'America.
Ma ciò che più mi ha colpito è la sua fede, semplice e profonda: dalla fedeltà al carisma di sant'Agostino, alla passione per la missione in Perù, per finire con il ricordo della supplica della Madonna di Pompei e con la recita dell'Ave Maria con tutto il popolo romano.
Insomma, un ben regalo dello Spirito Santo.