mercoledì 25 giugno 2025

SCOMODO, MA VERO

 


Ieri sera, 24 giugno 2025, sono andato ad un incontro sul “fine vita”, che si è tenuto al Centro Culturale “Rosetum” di via Pisanello, a Milano. Il titolo dell’evento era molto attraente: “Libertà o abbandono? Il grande inganno del suicidio assistito” e i relatori si prospettavano degni di essere ascoltati. Ha coordinato gli interventi Francesco Borgonovo, vice-direttore de “La Verità”, che ha parlato del rischio attuale di vedere i giovani “educati” dai mezzi di comunicazione di massa invece che da realtà che propongono positivamente la vita.

Antonio Brandi, Presidente di “Pro vita e famiglia”, ha insistito perché fosse proiettato un brevissimo “spot” dei radicali, vero e proprio messaggio pubblicitario, che chiedeva di “farsi avanti” per una sorta di “sperimentazione” della decisione di voler morire.

Borgonovo, a partire da questo, ha fatto molti riferimenti, cercando di buttarla sullo scherzo, ai radicali, a Marco Cappato, a quelli che vogliono andare in Svizzera per farla finita perché in Italia non è ancora permesso. Ha anche aggiunto che per lo Stato è molto più comodo ed economico aiutare a morire le persone gravemente ammalate piuttosto che cercare di curarle: una dose letale può costare anche solo due euro, mentre per le cure ne vengono impiegate migliaia. L’Italia poi è speciale per far sì che ai malati non siano seguiti come dovrebbero; sembra che solo tre su dieci malati terminali abbiano accesso alle cure necessarie. Solo solamente 14 i Paesi che hanno una legislazione sul fine-vita, e sono le Nazioni più ricche e consumistiche del globo. Canada, Belgio, Paesi Bassi, etc… Se l’Italia decidesse di approvare una legge sull’eutanasia sarebbe il 15° Stato a farlo; teniamo presente che nel mondo ci sono 196 Paesi che aderiscono all’ONU: questa è una problematica che non è per niente sentita in Asia, in Africa o in America Latina.

Poi ha dato la parola a Riccardo Cascioli, direttore de “La nuova bussola quotidiana”, che ha sottolineato come la tendenza del governo di centro-destra, nella questione del “fine-vita”, è quella di “agire prima della sinistra”, proponendo un disegno di legge incentrato sulle “cure palliative”. Questo atteggiamento della destra ha radici lontane, ha sottolineato Cascioli, che si possono far risalire al divorzio e all’aborto. In tutti questi casi la destra ha cercato il “male minore” facendo delle proposte di legge che però nella sostanza hanno legittimato un comportamento sbagliato.  Se porre fine alla vita di una persona è comunque da evitare non dovrebbe nemmeno esserci una legge su tale argomento. Anzi, una legislazione c’è già, per esempio sull’omicidio del consenziente: e allora che bisogno c’è di una nuova legge? Inoltre Cascioli ha evidenziato come, di fatto, la magistratura in Italia già da alcuni decenni abbia assunto il ruolo che spetterebbe al Parlamento. In una parola, la Corte Costituzionale finisce per decidere ciò che dovrebbe essere stabilito invece da una legge delle Camere. Anche le sentenze della Cassazione vengono considerate come dei “criteri” cui il legislatore si deve obbligatoriamente attenere.

In seguito ha preso la parola Maria Rachele Ruiu, di “Pro vita”, che ha fatto un intervento partendo dalla sua esperienza personale. La Ruiu era malata di cancro e aveva due figli piccoli, uno di un anno e mezzo e uno di tre, che le davano una forte motivazione per affrontare la malattia. Lei ha detto che i medici avevano fatto di tutto per salvarla dal cancro: allora come mai non fare lo stesso per un disabile? Perché polizia, carabinieri e personale medico cercano di dissuadere un “normo-dotato” dal buttarsi dalla finestra e invece cercano di favorire la morte del disabile? Poi la Ruiu ha posto l’accento sulle “cure palliative”, che però non devono essere considerate come il "toccasana" della questione. Ha notato inoltre che ai giovani viene proposto un modello competitivo: uno vale perché riesce a far qualcosa, ad essere in un certo modo: questo genera spesso frustrazione e una mancanza di accettazione di sè, perché non si riesca ad ottenere l'obiettivo agognato. Invece ciascuno vale "di per sè", per il fatto che c'è, ed è "utile" a tutti in quanto esiste, non in quanto riesce a raggiungere determinati obiettivi fissati dalla società.

Ma l’apporto più interessante e significativo è arrivato da Emanuel Cosmin Stoica, che ha parlato dalla sua sedia a rotelle, in un microfono che gli porgeva una ragazza. Emanuel ha esordito dicendo di vivere a Torino e quindi di avere qualche vantaggio in questo senso. Poi ha messo l’accento sulla mentalità dominante: “Voi non immaginate quante persone, anche di una certa età, anche di cultura, mi dicono: < Se io fossi nelle tue condizioni non so se ce la farei a vivere >.  C’è una propensione alla rinuncia a lottare per vivere che è impressionante, ha sostenuto; chi sceglie la vita viene ostacolato in tutti i modi, mentre chi opta per la morte si trova la strada spianata. Aggiunge poi che le persone colpite da disabilità non vengono nemmeno interpellate, anche perché non possono manifestare, in quanto spesso non riescono neanche ad uscire di casa senza essere accompagnati e non trovano nessuno che lo faccia.  Ha detto che la cosa più difficile da accettare è di dover dipendere dagli altri per qualunque cosa, anche per pulirsi il sedere, e quindi ha ringraziato la ragazza che gli teneva il microfono, presentandola come “la mia futura moglie”. Ma ciò che più mi ha colpito è che alla fine del suo discorso Emanuel ha proposto il suo libro, dal titolo emblematico: “Scomodo, come la verità”.

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