Incontro per caso una mia conoscente,
che mi chiede “Dove ha passato le vacanze?” Io rispondo: “Acasto”. “Ah sì?” dice
stupita la donna “E dove si trova?” “In
provincia di Acaresto” aggiungo io. Poi, accortomi che probabilmente non aveva
capito, spiego: “Acasto non è una città della Giordania o della Siria:
significa, in milanese. <Sto a ca’> <Resto a casa> e allo stesso
tempo in napoletano <Acca’ sto> <Resto qui>.
“Sono rimasto a Milano,
perché sono come san Benedetto; amo la stabilitas loci, con la quale il grande
santo costruì l’Europa”. E vado avanti: “Credo che adesso ci sia bisogno di
rimanere fermi nel proprio luogo e di ricostruire il tessuto sociale, perciò io
sto fisso nel mio luogo e lascio che il mondo giri attorno a me”. Per farmi capire
meglio faccio degli esempi concreti: “In questo periodo ho ospitato dei miei
amici del Camerun, e adesso ho degli ospiti dal Nepal, venuti per una fiera”. “Credo
che non sia positivo questo continuo spostarsi, questa compulsiva necessità di
emigrare per stare meglio, per avere migliori condizioni economiche”.
E ancora:
“I giovani italiani che emigrano lo fanno non per bisogno, bensì proprio per
scelta di andare a vivere in un Paese nel quale il costo della vita sia più
conveniente, in quanto si guadagna di più” Lei ribatte: “Ma come si fa a vivere
a Milano con 1.200 euro al mese?”. “Non si può dipendere sempre dai genitori!”.
Io osservo: “Io sono rimasto a casa dei miei fino a trent’anni: è vero che lavoravo,
ma non avevo uno stipendio tale da permettermi di vivere da solo”. Lei insiste:
“Ma un giovane, che io conosco, che si sente offrire uno stipendio di 4.000
euro, come fa a non accettare?”. E io, di ricalzo: “Io non posso giudicare il caso
concreto, dico solo che spesso tale scelta non è dettata da un effettivo
bisogno, bensì da una moda: se ci sono giovani italiani che emigrano in
Finlandia, in Danimarca, nei Paesi Bassi, magari avendo avuto possibilità anche
in Italia, questo vuol dire che si considerano tali Nazioni migliori <a
prescindere> e soprattutto che si considera solo l’aspetto puramente
economico.
Ma la vita è fatta solo dal
<soldo>? E la cultura? E i rapporti umani? La propria storia, la propria
famiglia? Tutto questo non conta niente? Ci si orienta sempre più verso una
società totalmente consumistica, nella quale il benessere materiale è di gran
lunga il criterio dominante e tutto il resto viene in secondo piano, come se
fosse assolutamente facoltativo”. Lei aggiunge. “Certo, in questo senso va
tutto il pensiero dominante, che cerca di rimescolare i popoli, facendo
emigrare tutti”. “E tendendo alla <sostituzione etnica>, per la quale noi
dobbiamo andare a fare i camerieri a Londra e qui vengono i magrebini a frotte”.
Mi dimentico di citare i cinesi, i bengalesi, etc. etc.. “L'emigrazione dei <cervelli> italiani un impoverimento micidiale
per il nostro popolo, sempre più bistrattato dai grandi mezzi di comunicazione,
che cercano in ogni modo di screditare l’immagine del nostro Paese agli occhi
dei giovani, per cui il giovane pensa che sia assolutamente ovvio voler
emigrare in una Nazione più ricca e sviluppata della nostra”. “Poi magari se ne
pente, perché si accorge che Milano, in particolare, non è esattamente una
città da terzo mondo. Come mai, per esempio, ci sono tantissimi meridionali a
Milano? Evidentemente si trova lavoro, magari non a condizioni ottimali, ma si
trova”. Anche questo fenomeno dell’immigrazioni interna, che ha assunto
proporzioni enormi e di cui nessuno parla, non è il massimo per un Paese:
intere regioni si spopolano per la mancanza di posti di lavoro.
Per salutarci rivolgo una mia intenzione: “io
voglio aiutare questo povero popolo italiano, distrutto in tutti i modi dai
mezzi di comunicazione, a ritrovare la sua identità come nazione, la sua
cultura, la sua storia, di una ricchezza infinita e di una profondità
invidiabile. L’Italia non ha nulla da invidiare alle altre Nazioni, e se non
avesse questa macchina burocratica opprimente e non si svendesse alle
multinazionali straniere sarebbe la prima potenza, anche dal punto di vista
economico, nel mondo.
prof. Pietro Marinelli