Puntuale come un orologio ritorna la solita “querelle” sulla possibilità di poter celebrare, nella scuola statale, la Messa di Natale. A chi avanza tale proposta viene spesso osservato che la scuola è laica e che, in quanto tale, non può operare discriminazioni tra i credenti e i non credenti, per non parlare dei credenti in altre religioni, che potrebbero sentirsi “offesi” da tale pratica.
Coloro che sostengono che la Messa di Natale sia discriminante rispetto a chi non è cattolico affermano di conseguenza: “questi atti di culto vanno fatti nei luoghi appositi: ci sono le chiese per questo!”.
Ma siamo sicuri che questa sia la posizione giusta? E siano sicuri che lo Stato laico sia lo Stato che, per non offendere nessuno, vieti qualunque manifestazione religiosa, confinandola nei luoghi deputati al culto?
Per rispondere a queste domande farò, a costo di essere definito “retrogrado”, quella che i medievali chiamavano “explicatio terminorum”. Che vuol dire: se non definiamo esattamente il significato dei termini che usiamo, non possiamo capirci l’un l’altro.
Cosa indica l’espressione “Stato laico”? Essa indica uno Stato che non voglia interferire nelle questioni religiose; uno Stato cioè che non voglia ingerirsi nelle “faccende” delle comunità ecclesiali.
Qui dobbiamo subito premettere la distinzione (sempre i medievali dicevano “distingue frequenter”) tra il concetto di “Stato laico” e la prassi degli Stati “laicisti”, che cercano di ostacolare l’espressione della fede religiosa. L’atteggiamento dello Stato laico infatti, essendo quello di una organizzazione che non vuole ingerirsi nelle questioni di pensiero religioso, è quello di lasciar spazio alle comunità religiose che vogliano esprimere la loro fede. E’ l’esatto contrario di ciò che molti pensano, confondendo “laico” con “laicista”: lo Stato laico è lo Stato che lascia a qualunque religione la possibilità di professare e di fare propaganda della propria dottrina, al contrario dello Stato “laicista” che la ostacola.
L’articolo 19 della nostra Costituzione, così tanto lodata quanto poco conosciuta, recita: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in pubblico e in privato il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.
Già qui troviamo tutte le risposte alle obiezioni che vengono fatte riguardo alla possibilità di far celebrare una Messa in una scuola statale: l’articolo 19 proclama solennemente anzitutto la libertà di vivere una determinata fede, “in qualsiasi forma, individuale o associata”. Ciò significa che il testo costituzionale vede la religione non solamente come una faccenda che riguarda il singolo individuo, ma ne prende in considerazione anche l’aspetto comunitario. Poi afferma chiaramente la possibilità di cercare di diffonderla attivamente (“farne propaganda”) e addirittura, alla faccia di chi parla a sproposito di “Stato laico”, di potere esercitare il culto (vedi: celebrazione liturgica) in pubblico e in privato. Certo, non sono contemplati quei riti che offenderebbero il comune senso del pudore (leggi: le orge sataniche).
Ma ciò che trovo più interessante è che l’articolo 19 dice prima “in pubblico” e poi “in privato”; ne consegue che i riti possono essere svolti in qualunque edificio pubblico, scuole comprese.
Essendo un diritto previsto dalla Costituzione stessa, non si vede come possa essere “a discrezione” di chi deve gestire l’organizzazione, in questo caso il dirigente scolastico. Chi è a capo di una istituzione deve garantirne il buon funzionamento, ma non può sopprimere un diritto fondamentale.
Quindi il dirigente scolastico dovrebbe accettare qualunque richiesta di poter celebrare riti nella religione di chi lo chiede, sempre che non si tratti di “Messe nere”, e trovare l’orario adeguato e gli spazi giusti perché possano avvenire liberamente. Uno potrebbe obiettare: e l’assenza di discriminazione? Questa può essere assicurata permettendo la celebrazione in orario extra-scolastico.
E un altro: “E se lo chiedessero i musulmani?” Anche loro avrebbero diritto di ottenere questa possibilità, alle stesse condizioni degli altri.
I padri costituenti non avevano in mente una società composta da individui isolati che dovessero stare zitti e muti per timore di disturbare il vicino che non la pensa come loro! Avevano in mente realtà di persone e di comunità libere di esprimersi e quindi di confrontarsi e di dialogare, mantenendo e anche proponendo positivamente la propria identità.
Insomma, non è che per rispettare l’identità dell’altro uno debba necessariamente rinunciare alla sua.
Non posso che essere d'accordo .
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