Ho deciso di darmi una penitenza per i miei
molteplici peccati, anche se non siamo più in Quaresima, e quindi mi sono
accinto alla lettura del disegno di legge sulla riforma degli Istituti tecnici
e professionali.
Dopo le prime righe mi sorge un dubbio: ma
questa è una proposta di legge riguardante gli agroalimentari prodotti dalle
scuole agrarie? Oppure riguarda le fasi di una produzione industriale portata
avanti dagli studenti degli ITIS?
Infatti viene usata ripetutamente la parola “filiera”.
Ora, mi chiedo, che cos’è una “filiera”? Cerco sulla rete e trovo due
definizioni del termine suddetto: la prima è l’insieme delle fasi della
produzione di un bene, la seconda è l’insieme dei soggetti che contribuiscono
alla produzione di un bene.
Riporto quanto
scrive Wikipedia (“Bibbia” indiscussa dell’etere) :
“Con filiera (agro-alimentare, industriale, tecnologica)
si intende l'insieme articolato (anche detto "rete" o
"sistema") che comprende le principali attività (ed i loro principali
flussi materiali e informativi), le tecnologie, le risorse e le organizzazioni
che concorrono alla creazione, trasformazione, distribuzione,
commercializzazione e fornitura di un prodotto finito; in senso più stretto, si
intende l'insieme delle aziende che concorrono alla catena di fornitura di un
dato prodotto. Il termine è stato coniato dall'agronomo francese Louis Malassis”
Ma di che cosa
stiamo parlando? Quale sarebbe il “prodotto finito” di cui sopra? Il servizio
scolastico? O addirittura lo studente stesso?
Ricordo che una
volta un rappresentante di una casa editrice, venuto nella mia scuola per
presentare i nuovi testi, mi disse, soprappensiero, come per prevenire le mie
osservazioni sulla impreparazione degli studenti: “Beh, certo, considerando il
prodotto che vi arriva dalla terza media.”. Io ribattei: “Prego? Il prodotto? I
ragazzi sarebbero dei prodotti?”. Non ebbi nessuna risposta, se non un tacito
assenso imbarazzato.
Ma tornando alla
nostra questione, il vero dramma è che questo “signore” che ha ottenuto il
posto per “meriti politici”, durante il corso della sua vita ha insegnato la
più astratta delle materie, diritto romano. Peraltro in Università, ed è abbastanza
evidente come il mondo universitario stia alla scuola così come l’informatica
sta a un idraulico. Il suddetto non ha la più pallida idea di cosa voglia dire
far lezione ad una classe di sciamannati che non hanno alcuna intenzione di
apprendere bensì solo quella di conseguire un diploma o un attestato.
Il succitato
professore di diritto romano all’Università è costantemente sulle prime pagine
dei quotidiani che contano e si fa alfiere delle riforme, guarda caso sempre in
stile anglosassone. Poco importa che la scuola degli States sia la più
squallida di tutto il mondo occidentale: è ovvio che essa debba essere il faro
che indica la strada del progresso all’istituzione scolastica italiana. E
soprattutto serve che si vada nella direzione di una società, come quella
statunitense, che impedisca ogni tipo di aggregazione e di relazione umana. Di
qui la logica conseguenza è la dissoluzione del gruppo classe e la formazione
delle classi di volta in volta a seconda delle materie da affrontare.
Ma non è finita
qui: il “vate” della educazione di “destra”, preso da sacro furore si impunta
di voler passare alla storia per la riforma di un sistema scolastico che dovrebbe
preparare i ragazzi alla concretezza del lavoro e alle esigenze del mercato.
Ecco allora il
politicante smanioso di gloria futura, onnipresente ed onniparlante, che vuol
fare la riforma delle riforme. Ed ecco che l’onniparlante ripropone la
scuola-azienda che hanno cercato di introdurre gli anni passati, introducendo
nuovamente concetti stravecchi e strasuperati di odore marxiano. Che però fanno
un gran comodo al grande capitale anglosassone. Quella struttura di scuola che
era rimasta fuori dalla porta rientra dalla finestra.
Questo è vero
obiettivo della “filiera” non si capisce di quale astratto e fumoso servizio
scolastico ottenuto da un coacervo di entità scollegate l’una dall’altra.
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