Vorrei dire alcune cose, a quelli che gioiscono per il riarmo europeo ma ancora di più alla “maggioranza silenziosa” che si trincera dietro frasi qualunquistiche del tipo “ma noi cosa possiamo fare” a proposito della guerra. Innanzitutto è abbastanza evidente che quasi tutti noi parliamo di una cosa che non conosciamo: per aver fatto la guerra bisognerebbe avere cento anni, dato che è finita nel 1945 e adesso siamo nel 2025: sono passati esattamente ottant’anni e più da quei fatti: ergo, si parla per astrazioni.
Vorrei poi passare dal piano delle semplici “informazioni”,
che sembra dominare totalmente la mentalità dei più, a quello dell’esperienza. A
cosa serve scambiarsi delle informazioni quando uno ha già deciso “da che parte
stare”? I fatti dovrebbero essere più importanti delle teorie! Io credo che si
capiscano gli avvenimenti molto più attraverso il “vissuto” e il paragone con
la propria esperienza giudicata.
Ma dopo il “pippone” introduttivo vorrei subito entrare nella
questione “guerra”. Io sono figlio di Gherardo Marinelli, notaio per tanti anni
a Parabiago. Mio padre ebbe la sventura di essere “abile e arruolato” nella
Seconda guerra mondiale. Frequentò la scuola allievi ufficiali di Modena e poi
partì per la famigerata campagna di Russia: aveva 22 anni e passò i cinque anni
migliori della sua vita a fare la guerra. Poi si sposò ed ebbe cinque figli, di
cui io sono il terzo. Questo per indicare di quale tempra fosse fatto: la
generazione dei nostri padri ha ricostruito l’Italia dopo tutte le devastazioni
operate soprattutto dai bombardamenti anglo-americani.
Per capire quali conseguenze produce la guerra sulla psiche
delle persone, costrette ad ammazzare per non essere ammazzati e a stare sempre
sul “chi va là” 24 ore su 24, dirò che mio padre passò i primi due anni dopo la
cessazione delle ostilità in preda ad incubi notturni continui. Diceva inoltre
che, appena ritornato, doveva nascondersi per sfuggire alla pena di morte per
diserzione, in quanto l’Italia, dopo l’Armistizio, era passata dalla parte
degli Alleati e quindi tutti coloro che avevano combattuto per il fascismo
erano considerati disertori. Dopo anni di campagna di Russia veniva considerato
un traditore dalla sua stessa Patria, mentre era stata lei a fregare il popolo
italiano!
La pena di morte veniva ancora applicata e fu solo
l’amnistia Togliatti che l’abolì per i militari che erano andati in guerra. Mio
padre diceva che doveva ringraziare il comunista Togliatti per aver avuto la
possibilità di essere reinserito nella vita civile!
Ma cosa diceva della guerra? Anzitutto ne parlava molto
poco, perché chi ha vissuto delle situazioni molto pesanti non ha piacere di
rinnovare la sofferenza nel ricordarle. Il cervello umano tende a ricordare le
cose piacevoli e a dimenticare quelle dolorose. La stragrande maggioranza di
coloro che scrivono libri sulla guerra non ha la minima idea di ciò di cui sta
parlando, non avendola vissuta. Una delle poche eccezioni è Eugenio Corti, che
partecipò alla campagna di Russia e la descrisse nel libro “I più non ritornano”,
non ché nel suo capolavoro “Il cavallo rosso”. A dire il vero, più che non da
quello che diceva mio padre, io ho capito cosa fu la campagna di Russia e
soprattutto la ritirata, leggendo appunto “Il cavallo rosso”, quando descrive quella
fila interminabile di soldati, che, a piedi, prendevano la strada di casa,
avendo dovuto abbandonare tutti i macchinari per mancanza di benzina.
E a piedi ritornarono, cercando di non gelare perché
avrebbero perso gli arti, dormendo vestiti e in condizioni igieniche devastanti.
Per ritornare mio padre fece poi il giro più lungo, passando per la Polonia,
per Lvov, perché era bloccata la strada più corta.
Mio padre diceva che allora i sovietici erano ben armati,
come i tedeschi: noi avevamo i fucili della prima guerra mondiale!
E qual è la realtà della guerra? Bisognava cercare anzitutto
di portare a casa la pelle: i più giovani, appena arrivati, morivano subito, in
quanto non stavano attenti a non essere colpiti.
E il nemico? Mio padre racconta che avevano imparato alcune
parole di russo, solo che quando parlavano con i russi si sentivano rispondere
“Niebugne maio”, che era il modo con cui si ricordava della frase “Nie
paniemaiu”, che significa “Non ho capito”. Un’altra frase in russo che avevano
imparato era “Ite sudai”, che significa “Venite qui”: la urlavano alle truppe
asiatiche che combattevano per l’Unione Sovietica, le quali, non distinguendo
gli italiani dai russi, in quanto europei, si avvicinavano e così venivano
falciati dagli italiani. Crudeltà, direte voi: ma è appunto questa la guerra:
“mors tua vita mea”, uccidere l’altro prima di essere uccisi. Non c’è nessuna
motivazione “libresca” di coloro che se ne stanno seduti in panciolle a
dissertare su questioni che riguardano semmai i governanti, ma non la gente comune.
La guerra è di uno squallore senza fine e fa emergere il
peggio in chi è costretto a farla. Un altro ricordo che mio padre citava era la
“battaglia di Natale”; per ben due volte, sia nel 1941 che nel 1942, i
sovietici avevano dato l’attacco il giorno di Natale. “Per sfregio”, diceva mio
padre, perché erano comunisti atei e non volevano che si festeggiasse la
ricorrenza della nascita di Cristo.
Ma almeno i russi facevano la guerra sul campo! Gli
anglo-americani hanno vinto perché bombardavano in maniera indiscriminata,
senza rispettare alcuna regola: il primo bombardamento totale fu quello su
Amburgo, cui ne seguirono molti altri: la Germania fu rasa al suolo in un modo
disumano. In tante città si vede la terra nuda, tanto hanno distrutto, e
vergognoso fu il bombardamento di Dresda, la “Firenze tedesca”, che non aveva
neanche la difesa antiaerea. A Dresda le fiamme raggiunsero i venti metri di
altezza, tanto furono folli i bombardamenti americani. Che non risparmiarono
neanche la Scala, nell’agosto del 1943, quando Milano fu colpita da un
pesantissimo bombardamento durato cinque giorni. Dicono che gli aerei fossero
americani ma i piloti inglesi, in quanto gli inglesi bevono il caffè (invece
dei superalcolici come gli americani). Dicono che il Duomo di Milano fu
risparmiato per intervento del cardinal Schuster, e comunque la città di Roma,
per intercessione del Vaticano, fu presa di mira molto poco. Al contrario di
Napoli, pesantemente e continuamente bombardata in quanto “città fascista”. Mia
madre mi raccontava che, quando era stata finalmente bombardata Roma, avevano
festeggiato a Napoli, per la nota regola “mal comune mezzo gaudio”. Insomma, la
guerra non è niente di nobile o di dignitoso, come pensano i “pantofolai”
attuali europei.
Per concludere, mi ricordo che mia madre mi raccontò che,
all’entrata trionfale delle truppe americane, che lanciavano pacchetti di
sigarette alla gente, come usavano fare i “vincitori” alla plebe “liberata”,
lei, che era una ragazzina, prese il pacchetto che le avevano lanciato e lo
rilanciò sul carro armato statunitense.
Post scriptum: mio padre fu decorato con due medaglie d'argento e una di bronzo, perché - diceva - "la medaglia d'oro la danno a chi muore".
Grazie, Pietro...gli stessi ricordi, raccontati malvolentieri di mio padre, anche lui in Russia. Con le scarpe di cartone nella neve ....e mamma ebbe gli stessi sentimenti quando gli americani, puliti, ben vestiti, lanciando caramelle, entrarono nel paese in cui erano rifugiati dopo aver perso tutto nei bombardamenti
RispondiEliminaNoi siamo ancora una generazione che ha parlato con quelli che la guerra l'hanno fatta. Pensa cosa ne potranno pensare le nuove generazioni. Una volta chiesi a mio padre se gli era capitato di doversi difendere e di aver ucciso. Non mi rispose. Mi sembrò che non volesse ricordare ma ho preferito credere che non gli fosse capitato.
RispondiEliminaUna ritrosia comunque comprensibile. Quello che ricordavano entrambi i miei genitori era la fame, esperienza terribile. Come non capire le popolazioni palestinesi, schiacciate fra un nemico arrogante e dei guerriglieri che li usano come scudi umani. Quei volti di bambini, vecchi e donne ammassati per una porzione di pastone, che sgomitano per un sacco di farina. Come nelle guerre dimenticate di cui non ci arrivano neanche le immagini. Tutto perché qualcuno vuole continuare a vendere le armi che produce, o vuole allargare il suo territorio, perché si sente più forte degli altri e mette in conto qualche centinaia di migliaia di morti suoi connazionali per dimostrare di essere più forte e prepotente.
Che argomento tremendo hai scelto oggi!
Ma questa gente che straparla di guerra, non ha mai sentito questi racconti ? E non va nei luoghi dove oggi si patisce questa insensata tragedia?
RispondiEliminaHo letto questa tua sentita testimonianza. Per quanto mi riguarda, anch'io fin da bambina ho ascoltato i racconti della medesima guerra, ma vissuti su altro fronte. Mio padre, ha sempre cercato di raccontarli con ironia, ma da qualche decennio non lo fa più. Lui, ora, con le lacrime agli occhi, ricorda solo i compagni morti. Grazie.
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