mercoledì 31 luglio 2024

Caso Di Francisca-Pilato: solidarietà femminile e cultura del commento coatto

Elisa Di Francisca, ex campionessa olimpica di scherma, ha sotterrato la nuotatrice Benedetta Pilato arrivata quarta nella finale della sua specialità sotto una grandinata di commenti acidi, irridenti e francamente antipatici. Con tanti cari saluti alla solidarietà femminile e all’empatia delle donne. Le quali donne dovrebbero governare meglio la ferocia innata compensazione della mancanza di prestanza, almeno quanto gli uomini dovrebbero tenere a bada l’ottusità morale assolta dalla forza fisica. Uno pari e palla al centro. Un giorno o l’altro la smetteremo coi commenti simil-intelligenti che attaccano le persone procedendo per luoghi comuni.

Poi ci sono verità più profonde, che vanno oltre la meschinità episodica della Di Francisca (perdonata di cuore: ognuno di noi, in assenza di telecamere e microfoni, si lascia andare a giudizi stupidi che lui stesso non ripeterebbe mai). La prima verità è appunto la sostituzione delle categorie aristoteliche con i luoghi comuni. Le prime hanno carattere generale, dunque universale, ed hanno come obiettivo fissare un canone che permetta di comprendere ciò che esiste.I

 secondi sono il simulacro scimmiesco delle prime. Sono particolari, spesso caricaturali e ridicoli, che si pretende di elevare a principio universale. Di Francisca prende in giro la Pilato della quale accusa le dichiarazioni confuse, pronunciate in lacrime a bordo piscina alla fine della gara che l’ha vista ad un centesimo di secondo dal podio, accusandola fra l’altro di latenza di spirito competitivo.  

Vorrei sapere se Di Francisca ha qualcosa da dire sul pugile algerino, registrato come donna (c’è la commissione che lo ha certificato, signori della corte), che si appresta a gonfiare di botte la pugile italiana Angela Carini. Perché “uomo” e “donna” sono appunto categorie aristoteliche, mentre sentirsi donne senza esserlo è un luogo comune decretato dalla copertura pubblicitaria.

Temo che non userebbe lo stesso livore che ha riservato alla collega Pilato contro Imane Khelif, fra l’altro cavalcato – mi si perdoni il calembour sessista – come emblema di un presunto Islam inclusivo. Se c’era una sintesi capace di irritare i cinque milioni di magrebini francesi già abbastanza surriscaldati, Napoleone Macron l’ha trovata. Ma magari Di Francisca ci smentisce.

La seconda verità, costata l’infortunio comunicativo a Di Francisca, è la cultura del commento coatto. Viviamo in una realtà letteralmente ottenebrata dalle parole, alla quale anche la televisione – immagine per natura – si è piegata di buon grado. A conti fatti il presupposto è che lo spettatore-utente non sia in grado di capire ciò che vede, e soprattutto di giudicarlo in modo autonomo (bene o male è indifferente), ma che abbia bisogno di un sussidio al giudizio dato dal medium stesso. Meglio ancora: il surrogato prêt-à-porter del giudizio stesso, cotto e mangiato.

È il filtro del commento dell’esperto, più spesso presunto tale. La verità sottesa è che l’immagine in se stessa non mi dice assolutamente nulla. Vedo un bambino decapitato, non so se sia vero o sia un pupazzo né dove si trovi. Non so chi l’abbia ucciso, se un altro essere umano o un incidente, se aveva una madre, un padre, dei fratelli.

 L’immagine omette e nasconde un sacco di cose, e presuppone parole che la spieghino tradendola. L’immagine ha una sua forza autonoma quando trascende il particolare, mostrando l’estasi e l’orrore universali della natura. L’immagine è tale quando diventa arte: Giuditta e Oloferne di Caravaggio, le foto di Cartier Bresson, i tramonti e gli incendi di Turner, Crono e le esecuzioni di Goya, alcune inquadrature di Kubrick accompagnate da musica classica. Non certo la televisione, e meno ancora l’evento televisivo trasmesso “dal vivo” e “in diretta”.

La terza verità che scompare è l’abolizione della contemplazione, inumata dalla necessità di passare ad altro: il frame successivo, il “fatto” che verrà, ma soprattutto il prossimo verboso pistolotto. 

Lac ontemplazione coinvolge il corpo, la mente e lo spirito. La parola arriva sempre dopo, mai nello stesso momento. Essa deve in qualche misura salvare, racchiudendolo, il destino dell’uomo e delle sue mene.

A suo tempo, per promuovere un rinascimento culturale autentico, proposi l’abolizione delle prefazioni e delle postfazioni dai libri, altra forma di inquinamento dell’esperienza e delle coscienze che appesta il clima molto più della CO2. Sento il dovere di aggiungere la rimozione del commento teleuditivo, sorta di escamotage a costo bassissimo che riempie i media di spazzatura, magari costringendo i vari direttori di rete ad un ritorno alla qualità, che alla lunga paga sempre ed eleva la mente e gli spiriti. Non accadrà, ma sarebbe bello.


Pluto  





martedì 30 luglio 2024

CARDINAL ZUPPI E GIPPONI FILM FESTIVAL

 

Generalmente non parlo delle questioni interne alla Chiesa cattolica, perché credo che essa non debba essere il “luogo del pettegolezzo”.  Questa frase la disse il professore che mi suscitò l’interesse per il cristianesimo, proponendomi un’esperienza che rispondeva alle mie domande sul senso della vita.  Ed è una frase che tengo sempre presente, soprattutto adesso, che chiunque si sente in grado di dare giudizi “ultimativi” sulla situazione in cui versa il popolo di Dio e soprattutto sui suoi pastori.

Siamo però in un frangente molto pericoloso, in quanto coloro che dovrebbero condurre il gregge dei fedeli appaiono notevolmente confusi. Sembra che la loro preoccupazione sia più quella di “piacere alla gente” dicendo ciò che vuole sentirsi dire, piuttosto che di richiamarla alla verità delle cose.

Tanto per essere chiari, non mi sembra di aver sentito alcun pronunciamento contro la farsa blasfema dell’inaugurazione delle Olimpiadi di Parigi né da parte di Papa Francesco né tantomeno da parte del Cardinal Zuppi. Il quale invece si è lanciato ultimamente in una serie di affermazioni “queer”, al Giffoni film festival, che lasciano alquanto perplessi.

Nella Chiesa ci “devono” stare tutti? Semmai nella Chiesa ci “possono” stare tutti, non che per forza facciano parte della Chiesa tutte le persone. La Chiesa ha sempre accettato e rispettato le persone, mentre ha sempre stigmatizzato le ideologie- Diceva Chesterton (già, mai chi era costui di fronte ai “maitre a penser” di oggi?) che il mondo attuale rispetta tollera tute le idee e ammazza le persone, mentre si dovrebbe tollerare tutte le persone e ammazzare le idee. Perché non sono le persone ad esser sbagliate, bensì le scelte ideologiche e questa delle idee queer è una ideologia bella e buona (o meglio, né bella né buona).

Nella Chiesa ci “devono” stare tutti? Anche gli atei? Anche gli eretici? Oddio, se dovessimo escludere queste categorie non so quanti vescovi e cardinali rimarrebbero, compreso il Papa.  Ma insomma, anche quelli che coscientemente vanno contro la volontà di Dio e affermano una propria morale?

A questo punto vorrei rivolgere una domanda al cardinal Zuppi: “Eminenza reverendissima, che cos’è la Chiesa? E’un coacervo di individui ciascuno dei quali pensa e agisce come gli pare? Tanto l’importante è “volersi bene”? Anzi, per voler bene non è neanche necessario credere in Dio?”

Non mi azzardo a citare Gesù Cristo, che come al solito non viene nemmeno nominato (evidentemente non è opportuno essere “divisivi”, creando imbarazzo nel “mondo queer”).

Talvolta ho l’impressione che queste alte gerarchie della Chiesa cattolica abbiano bisogno di riprendere in mano i fondamenti della fede e l’essenza del cristianesimo. Infatti, se uno cita come “auctoritas”, la grande intellettuale “queer” della quale scandisce nome e cognome, forse dovrebbe cominciare a chiedersi chi è e quale ruolo riveste.

E magari rileggere (o, meglio, leggere per la prima volta) quei vetusti autori che hanno scritto bazzecole ormai del tutto superate dai tempi, come Agostino e Tommaso d’Aquino, giusto per fare due nomi a caso.

Concludo citando il nostro grande padre Dante (mi scusino gli eccelsi intellettuali alla moda), il quale sosteneva, come è nella tradizione cristiana, che il più grande miracolo è che la Chiesa esista ancora dopo tanti anni. Chi crede infatti in Osiride, oggi? O in Zarathustra? O (ops) in Dioniso?

SFACELO OLIMPIONICO - CROLLO DELL'OCCIDENTE

 Ci sono delle svolte, nella Storia, che si comprendono dopo decenni dagli accadimenti. Noi ci troviamo, qui e adesso, in una di quelle svolte, ed è importante comprenderlo.

Prendiamo spunto dall’apertura olimpica di Parigi, ma il discorso è molto più grande e articolato, quindi dovremo farlo a tappe successive.

Nella mente del Presidente francese, Parigi 2024 doveva essere la ripetizione, molto più in grande, di Berlino 1936, ma sappiamo che la storia si ripete sempre passando dalla tragedia alla farsa.

Difficile dire se la cerimonia d'apertura sia stata più blasfema, volgare o cafona, anche perché si è andati molto oltre tutto questo. Concordiamo con Macron che quella andata in scena durante la cerimonia d’apertura delle olimpiadi è la vera Francia. In un momento di realismo ha detto la verità.

Questa è la Francia e, con un pò più di realismo, questa è l'Europa e tutto l'occidente.

Pressapochismo, illusione di magnifiche sorti e progressive, blasfemia promossa a nuovo idolo collettivo per celebrare la voglia di suicidio di una civiltà che ha prosperato per migliaia di anni.

Voglia di suicidio, senza neanche il coraggio del suicidio. In tutti i campi. Oltraggiando tutto.

Oltraggio alla religione cristiana, alla Storia, al buon senso, all’organizzazione, alla sicurezza, al buon gusto, per dire solo i principali da analizzare nel dettaglio.

Oltraggio e vilipendio della religione cristiana per fare spazio alle ideologie LGBT, Woke, cancel culture et similia, sconfinando nel puro satanismo. Le proteste dell’episcopato francese, pur sorprendenti, sono molto al di sotto di un minimo sindacale pur dovuto.  "Questa cerimonia purtroppo comprendeva scene di derisione e di scherno del cristianesimo, che deploriamo profondamente". Limitarsi a questo equivale a chiudere gli occhi su tutto il resto. Del resto la stessa apertura delle proteste vescovili lascia basiti: “La cerimonia di apertura proposta ieri sera dal Comitato organizzativo dei Giochi Olimpici ha regalato al mondo intero meravigliosi momenti di bellezza, di gioia, ricchi di emozioni e universalmente apprezzati”. Non sappiamo, e non lo sapremo mai, dov’è che i vescovi francesi abbiano visto questi momenti di bellezza e di gioia, ma questo è il cappello introduttivo a timida reprimenda.

Limitandoci alla sola parodia dell’ultima cena, niente è stato lasciato al caso. Oltre a nostro Signore, diventata una cicciona lesbica e gli apostoli proposti come trans improbabili, la stessa ghirlanda della lesbica centrale è a forma di ostia (con la minuscola) da cui si dipartono filamenti che rievocano il corona virus che tante soddisfazioni ci ha dato. Un simbolismo, cioè, studiato nei minimi dettagli e fanno solo ridere, o piangere, le scusa postume arrivate.

 Evitiamo di commentare i silenzi romani in merito.

Alcune proteste sono arrivate anche da ambienti “trans” non usi a frequentare i gay pride. Da ambiti atei e agnostici. Persino da ambienti musulmani si sono levate lamentele e proteste. Da Roma solo un silenzio assordante e vergognoso ammantato di fratellanza e misericordia pelosa.

Lo sfacelo si associa sempre con l’ipocrisia, ma analizziamolo nel dettaglio:

Oltraggio alla storia. Tra tante perle da inanellare, riescono solo a deridere una Maria Antonietta decapitata. Neanche il Re, la Regina con la testa in braccio. Carlo Magno non è mai esistito, come non sono esistiti molti altri della pur gloriosa e variegata Storia francese, da Napoleone al Re Sole a Santa Giovanna d'Arco.

Oltraggio organizzativo. Letti di carta pesta per gli atleti, materassi di plasticaccia, alloggi senza condizionatore, cibarie scadenti o insufficienti, turismo in caduta libera con prenotazioni inferiori del 15% a quelle dello scorso anno senza olimpiadi e ci fermiamo per non girare la piaga attorno al coltello.

Oltraggio al buon senso. Si sono lasciati decine di capi di Stato, compreso il nostro Mattarella, sotto la pioggia battente con solo la tribuna centrale di Macron coperta. Semplicistico pensare a pura e semplice stupidità quando le previsioni di pioggia si conoscevano.

Un miliardo e mezzo di Euro spesi inutilmente per rendere balneabile la Senna con il risultato di analisi che tracimavano di oltre 10 volte i limiti batterici massimi consentiti.. Adesso il Triatlon non si svolgerà sino a contrordine in un caos organizzativo che si autoesalta e senza neanche un piano “B” di riserva.

Il corteo di barche, provato e riprovato diverse volte nelle notti precedenti l'evento, trasformato in una caotica passerella anonima, con bandiere che spariscono dietro i cartelli con i nomi delle nazioni, atleti che neanche si vedono e perdendo tutto il pathos delle sfilate.

La  Corea del Sud scambiata per Corea del Nord con scuse ufficiali postume.

Ciliegina sulla torta, issare la bandiera olimpica capovolta.

Mai accaduto nella storia e abbiamo il dubbio che non si sia trattato di un errore, ma di un segno indotto dall’Alto, una constatazione da mostrare al mondo, visto che la bandiera capovolta è il simbolo internazionale di un estremo patimento, di una urgente richiesta di aiuto in condizioni drammatiche.

Oltraggio alla sicurezza.  Parigi bloccata da settimane e transenne ovunque impedendo ai residenti di poter finanche di circolare. Attentati a tutte e quattro le direttrici ferroviarie che si diramano da Parigi con blocco totale dell'alta velocità. Aeroporti bloccati a ripetizione.

Certo che gli attentati non sono prevedibili con certezza nella loro totalità, ma quì la lotta è tra dilettantismo e incompetenza.  A Parigi nelle settimane scorse erano già state bruciate cabine di comunicazione ferroviaria, interrompendo il transito dei treni TGV, evidentemente le prove generali per gli attentati futuri. Ma nessuno ha pensato che quanto accaduto poteva ripetersi su grande scala. Il presidio, se c'è stato, era da barzelletta. La polizia sapeva, o aveva forti sospetti su gruppi anarchici di sinistra. Ma importante era seguire le direttive paranoiche del ministro israeliano degli esteri, Israel Katz, che dava per certi gli attentati islamici di gruppi supportati dall'Iran. Nessuna prova a supporto di quello che Katz dice. L’Iran, pur contrapponendosi a Israele, sta cercando in tutti i modi di non allargare il conflitto e non arrivare ad uno scontro diretto. Non è certo dall’Iran che può arrivare, in questo momento, un attentato. Ma le tesi del Katz vanno riverite in via prioritaria.

Importante è guardare dall'altra parte quando ti stanno mettendo il fuoco sotto il sedere.

Importante è instillare la paura a comando e contro obiettivi predeterminati, meglio se inesistenti.

Pressapochismo, dilettantismo e incompetenza, unititi a dosi industriali di arroganza ostentata e gratuita. Dosi massicce di provocazione e satanismo in bella mostra.

Del resto, come dicevamo, questa è la rappresentazione del mondo occidentale di oggi.

Questa è la Francia di oggi, come ha confermato Macron. E' l'Europa e l'Occidente di oggi.

Entreremo nel merito con altre due riflessioni  sul tragico stato dell’arte.

Enzo Fedele

lunedì 29 luglio 2024

ANCORA SULLE OLIMPIADI DI PARIGI 2024

 

Ho visto che il mio articolo sulle Olimpiadi di Parigi e L’ultima cena ha riscosso un certo successo: evidentemente devo aver toccato un punto sentito acutamente da tanti. E qual è tale “punctum dolens”? Il fatto che del cristianesimo si può dire ciò che si vuole, lo si può denigrare, insultare, ridicolizzare anche per “partito preso”, senza alcuna motivazione effettiva e senza alcun fondamento né storico né logico.

Siccome i cristiani non sono violenti come gli islamici, allora possono essere bistrattati e derisi in ogni modo. In particolare ciò è evidente in Francia, che si trova ad essere messa a soqquadro dopo ogni affronto al Profeta o al Corano in una maniera incredibile (sono centinaia le chiese cattoliche devastate o rovinate in questi ultimi anni).  Perfino la cattedrale di Notre Dame, simbolo della cattolicità francese, è stata incendiata, e non mi si venga a dire che è stato un corto circuito casuale. Perché poi i musulmani integralisti se la prendano con i cattolici, questa è una questione interessante da affrontare. Probabilmente perché non capiscono la distinzione tra sfera religiosa e sfera civile, che esiste nel cristianesimo, ma non c’è nell’islam. Nel mondo musulmano non esiste nulla di paragonabile alla Chiesa, cioè ad una realtà sociale diversa dalla società civile e autonoma rispetto ad essa. Non esistono i preti, non esiste la gerarchia ecclesiastica, non esiste il Papa, che peraltro c’è solo nella Chiesa cattolica. I capi religiosi sono semplicemente degli studiosi e degli esperti del Corano, ma non sacerdoti, anche perché non esistono neanche i Sacramenti e quindi non c’è l’Ordine Sacro. Allora per i musulmani l’Occidente e il Cristianesimo sono una cosa sola e qualunque sgarro fatto da persone occidentali ricade sulla Chiesa cattolica. Come si possa sostenere ciò anche nell’attuale Francia, questa è una bella questione. Io credo che solo la non conoscenza della realtà dei Paesi occidentali e una totale ignoranza del cristianesimo possano giustificare tale posizione.

Basti vedere appunto la cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi di Parigi 2024: non solo non c’è alcun riferimento alla fede cristiana, ma vi è sbandierato il dileggio più sfrenato di tutto ciò che è cattolico, comprese le rappresentazioni pittoriche. Come si fa ad identificare, adesso, la Francia con “la figlia primogenita della Chiesa”?

Questa cerimonia è stata un condensato di tutti i luoghi comuni più beceri del laicismo occidentale, come manifestazioni grottesche e patetiche, nella loro virulenza anticattolica. Tra di esse spicca, oltre la rappresentazione blasfema dell’Ultima cena, anche la farsa sulla Rivoluzione francese. Anche qui si sono raggiunte vette di cattivo gusto notevoli, con una presa in giro di Maria Antonietta che reggeva la propria testa mozzata, cantando “Ah, ca ira”, un refrain caro ai rivoluzionari.

E che dire del fiume di sangue scaturito in conseguenza di tale evento? Il sangue viene addirittura esaltato, diventa una fonte di orgoglio nazionale, come peraltro già nell’inno francese. La Marsigliese, infatti, è una continua glorificazione della “guerra giusta” contro chi ha il “sangue impuro”, che, essendo tale, deve scorrere a fiotti e formare dei torrenti insanguinati. Credo che non esista un altro inno nazionale così sanguinario, violento e guerresco come la Marsigliese! Per quanto riguarda le parole, ovviamente; la musica sembra sia stata bellamente “scopiazzata” dal “Tema e variazioni in Do maggiore” dell’italiano Giovanni Battista Viotti, musicista di corte. La melodia, ripresa pari pari, fu scritta nel 1781, ossia undici anni prima dell’attribuzione del 1792.

Ma la cascata sanguinaria non si fermò a Parigi: con la rivoluzione (che introdusse la leva militare obbligatoria) fu attuato il primo genocidio sistematico dell’epoca moderna: quello della Vandea, che si era sollevata in difesa della fede cristiana. Vogliamo parlare di tolleranza, di inclusione, di diritti umani? La Rivoluzione francese ha sancito la totale separazione dei diritti dal rispetto della persona umana: i diritti hanno assunto “vita a sè stante”, sono stati assolutizzati e sganciati da qualunque riferimento a realtà concrete, alla cultura della gente, alle tradizioni locali. I diritti dell’uomo (decisi peraltro da una esigua minoranza proveniente dall’aristocrazia) sono stati imposti con la forza, con la guerra, con il sangue.

In questo senso l’attuale ideologia gender e la lobby LGBTQ+ (e chi più ne ha più ne metta) è un portato diretto della Rivoluzione francese e dell’illuminismo che ne sta alla base: i diritti hanno preso vita a sé, sono validi indipendentemente dalle situazioni concrete, dalle persone cui si rivolgono, dalle culture dei popoli. Vanno imposti “tout court”, perché sono giusti di per sé, “a prescindere” dalla realtà dei fatti e della gente.

E lo scopo primario della Rivoluzione francese quale fu? Inutile dirlo: l’annientamento della Chiesa cattolica. Furono uccisi preti e suore, furono bruciate chiese e ridotte a magazzini, decapitate le statue dei santi, etc etc. Avevo letto che i rivoluzionari francesi non avevano distrutto le vetrate della Chiesa di Notre Dame perché non avrebbero saputo come ricostruirle. Il che, indirettamente, indica una stima per la tecnologia medievale non da poco.

Ma la Chiesa continua ancora, non è stata annichilita; continua perché in essa è presente Uno che ha vinto il mondo e che la sorregge; continua perché non è la somma delle incoerenze di coloro che ne fanno parte, bensì il luogo della comunicazione del divino agli uomini. I cristiani resistono, come diceva di san Paolo: “perseguitati, ma non abbandonati: colpiti, ma non uccisi”.

Vorrei concludere citando un aneddoto, che non so se sia effettivamente accaduto, ma rende l’idea: si narra che, durante un colloquio con il cardinal Consalvi, Segretario di stato, Napoleone abbia detto: “Distruggeremo la Chiesa nel giro di due anni!”. Il cardinale lo guardò, con aria compassionevole, e rispose: “Ma se non ci siamo riusciti neanche noi preti in duemila anni!”

domenica 28 luglio 2024

OLIMPIADI PARIGI 24 E L'ULTIMA CENA

 

Siamo stati inondati delle immagini della rappresentazione blasfema dell’Ultima cena all’inaugurazione delle Olimpiadi di Parigi 2024. Anzitutto devo premettere una considerazione: concordo con chi ritiene non solo inutile, ma addirittura dannoso continuare a far vedere immagini di questo tipo. Infatti, moltiplicando le visualizzazioni dell’obbrobrio per suscitare ribrezzo o scandalo, se ne aumenta la diffusione e si finisce con l’ingigantirne l’importanza; cresce la consistenza di tale provocazione. 

Perché di provocazione di tratta, ovviamente: è l’ennesimo atto di dissacrazione di ciò che sta più a cuore ai cristiani, cioè la persona e l’azione di Gesù. E il ridicolo tentativo di sminuirne l’obiettivo non sta in piedi nemmeno una frazione di secondo. Sentirsi dire da uno che ha lavorato per due anni a tale “messa in scena” che l’ha fatto perché “voleva che nessuno si sentisse escluso”, dà più l’impressione di uno che si “arrampica sugli specchi” piuttosto di uno che dice la verità. La motivazione è evidentemente la messa in ridicolo dell’Ultima cena, la cui versione più famosa e più bella è quella di Leonardo, nel refettorio di Santa Maria delle Grazie a Milano.

A questo punto uno potrebbe chiedersi: “ma che cosa c’entra l’Ultima cena con le Olimpiadi”? Perché hanno scelto di iniziare con una evidente denigrazione e ancor più ridicolizzazione di uno dei capolavori dell’arte cristiana di tutti i tempi? Anzi, forse il più emblematico, per quanto riguarda la fede cristiana?

Evidentemente, per quanto possa sembrare paradossale, gli organizzatori di questa sceneggiata hanno la convinzione che la fede cristiana c’entri con tutto, anche con le Olimpiadi. La fede coinvolge tutti gli aspetti della vita e forma la mentalità della gente, per cui essi identificano il cristianesimo come il nemico da distruggere. In particolare è il cattolicesimo “tradizionale”, la fede cristiana autentica l’obiettivo dei loro strali dissacratori.

Devo ammettere che c’è una certa intelligenza nella scelta dell’ultima cena. Ho l’impressione che chi opera “dietro le quinte” di tale rappresentazione oscena ci abbia pensato bene. Sembra che ci sia un’intelligenza “diabolica” (forse proprio in senso letterale). Perché dico ciò?  

Perché questo è un attacco mirato al cuore della fede cristiana e quindi all’essenza della Chiesa come realtà umana, come “corpo sociale” agente nella storia, nella quale è presente il divino. Tale realtà non è assimilabile ad alcun potere mondano, per cui costituisce il vero “pericolo” per chi detiene le “leve del comando” nel mondo.

Facciamo un passo indietro: cosa avviene nell’ultima cena? Il momento fissato da Leonardo è quello dell’istante in cui Gesù pronuncia la frase “uno di voi mi tradirà” e i discepoli, sconvolti, si chiedono chi sia il traditore o smentiscono di esserlo. Ma l’ultima cena è soprattutto il momento dell’istituzione dell’Eucarestia, quando Gesù Cristo si dona totalmente agli apostoli e decide di darsi fisicamente a loro e di conseguenza a tutti gli uomini. Decide di continuare ad essere presente in mezzo a noi nella forma della carne (l’Ostia consacrata) e del sangue (il vino santo).

Nell’Eucarestia si compie il Mistero dell’Incarnazione: Dio si rende presente in maniera talmente fisica da essere “mangiato e bevuto” e in tal modo entrare nella carne di ognuno di noi per darci la vera vita. Questa è una cosa che non è nemmeno pensabile dalla mente umana: che Dio, incommensurabile e onnipresente, si renda presente in un pezzo di pane e in un sorso di vino, che l’infinito si concretizzi in un particolare infimo, non può essere immaginato dall’uomo. Chi glielo farebbe fare? Perché Dio dovrebbe “rinunciare” alla sua “assolutezza” per diventare “finito”, cioè “definito” in una piccola parte di materia? E’ talmente assurda questa “scelta di Dio” che non esiste in nessun’altra religione, anzi quelle successive al cristianesimo l’hanno abolita e sono ritornate alla concezione di Dio come totalmente diverso dall’uomo, perfettissimo e incorruttibile e quindi assolutamente irraggiungibile dagli uomini.

E’ solo nel cristianesimo, e in particolare nel cattolicesimo, che si stabilisce un contatto tra Dio e l’uomo, in quanto Dio, facendosi uomo, si rende incontrabile, toccabile, addirittura mangiabile, appunto nell’Eucarestia. E questo Dio-uomo ha scelto di nascere in una famiglia normalissima, composta da un padre e una madre, e di vivere la vita delle persone di quel luogo e di quel tempo esattamente come uno di loro. Non ha fatto alcuna “rivoluzione”, nel senso che non ha assolutamente azzerato e nemmeno ridotto la tradizione e i costumi che lo circondavano, bensì li ha portati a compimento, senza dimenticare nulla di ciò che era stato tramandato. Nemmeno uno iota della legge andrà perduto: questo è il “motto” che sta alla base del pensiero e dell’azione dell’Uomo-Dio.

Ma tornando alla radice della questione, chi glielo ha fatto fare, a Dio, di diventare un uomo? E di soffrire come nessun altro? E di comunicarsi con il corpo e il sangue a chiunque lo voglia? Rischiando di essere deriso, denigrato o addirittura calpestato?

La risposta è una sola, anch’essa impensabile dalla mente umana; l’amore per l’uomo, per ogni uomo, per tutti gli uomini da Lui voluti e continuamente ri-creati. L’essenza di Dio è amore, come ci ricordava Papa Benedetto XVI nella sua prima enciclica “Deus est caritas”, ed è amore incondizionato, senza limiti, infinito. Non è solo misericordia per i peccati: non è un pur a e semplice “copertura” delle colpe commesse dagli uomini; è totale dono di sé all’altro. D’altronde l’essenza di Dio è amore totale tra le tre Persone, che si donano continuamente una all’altra. Dio stesso non è un singolo individuo, bensì una “piccola comunità” di tre persone, che si vogliono talmente bene da formare una cosa sola.

Don Giussani diceva: - “Dio” sono tre amici-

mercoledì 24 luglio 2024

DEPORTAZIONE UK FALLITA

 IL REGNO UNITO VUOLE DEPORTARE I RICHIEDENTI ASILO IN RWANDA, MA NON CI RIESCE

Quando cambia un governo, spesso si scopre qualche altarino di quello precedente, come se il nuovo governo dovesse mandate un segnale di discontinuità: noi siamo diversi, noi siamo migliori. Il Regno Unito, eccezionale in molte cose e non tutte lodevoli, in questa si adegua al tran-tran.

La notizia data dal ministro degli Interni Yvette Copper del nuovo governo Starmer circa il fallimento della deportazione dei richiedenti asilo in Rwanda approvata dal precedente governo Sunak, ha risvolti davvero notevoli, quasi esilaranti se non riguardasse la vita di decine di migliaia di persone.

Deportazione pianificata dal governo tory di Boris Johnson e messa a terra da quello di Sunak, che prevedeva il versamento di una cospicua somma di denaro al Rwanda di Paul Kagame, appena rieletto col il 99,15% dei voti per il quarto mandato. 209 milioni di sterline la cifra promessa al ruandese: poco più che una mancia, data la vastità e la portata del piano in questione, ma consideriamolo un acconto in credito alla buona volontà.

Il buon Kagame, ex militare, è incredibilmente riuscito a migliorare costantemente le proprie performance elettorali: dopo la leggera flessione del 2010 (93%) seguita alla prima elezione del 2003 (95%), ha preso il 98% nel 2017 per planare sul morbido 99% e spiccioli della settimana scorsa.

La rivista Africa lo definisce, con una punta di ironia, “l’autocrate che piace”. A chi? Ruandesi a parte, che ad eccezione di uno sparuto scarto di lavorazione proprio non riescono a rinunciare all’allampanato Paul, piace sicuramente all’Occidente democratico, le cui responsabilità nel genocidio ruandese sono un dato storico acquisito. Lo stesso Occidente che fregia Putin dell’augusto titolo di dittatore sanguinario se prende un ridicolo (rispetto alle performance di Kagame) 87%, di fronte all’ennesimo utile negro da cortile si arresta in estatica e soprattutto silenziosa contemplazione.

Il fatto che lo stesso Sunak sia un immigrato indiano diversamente bianco, per quanto di famiglia parsimoniosamente miliardaria, smentisce una volta di più (casomai ce ne fosse il bisogno) la vulgata secondo la quale un membro di una categoria sociale non possa agire contro la categoria alla quale appartiene.

Eppure Sunak si è mostrato totalmente rispettoso degli usi e costumi del proprio paese di origine, specialmente per quanto riguarda la divisione in caste della società: ci sono i paria, gli intoccabili e privi di diritti, e poi su su fino a quelli come Sunak. Ma questi sono dettagli che non devono scalfire il mito del buon selvaggio, vero pilastro della narrazione accogliente e inclusiva.

Il perché appartenere ad una certa categoria impedisca di danneggiarla è un mistero più complesso della Trinità, ma a quanto pare viene massicciamente creduto, e senza andare tanto per il sottile: l’Africa in festa per l’elezione di Obama ha subito preso contatto col fatto che all’africano Barack (pare sia nato in Kenya) dell’Africa non cale né tanto né poco. Per non parlare della della rielezione di Von der Leyen: in quanto donna e madre, ella è naturalmente inclusiva ed incapace di scatenare guerre. Ci mancherebbe altro: lo sanno bene tanto i russi quanto gli ucraini. Come lo sanno gli inglesi, che spedirono Johnson ad ordinare a Zelensky, pronto a negoziare la pace coi russi, di continuare la guerra senza se e senza ma. Come lo sa la premier per un giorno Liz Truss, altra donna accogliente e inclusiva che cinguettò di essere pronta a schiacciare il bottone della bomba nucleare. Sparita dalla circolazione, il che data la coazione a riproporre sempre le stesse eminenti figure dell’Occidente democratico un po’ stupisce e un po’ preoccupa: che fine ha fatto?

Dopo di che, per tornare alla denuncia della Copper, vengono i sempre sgradevoli conti della serva. La Copper non solo quantifica lo sperpero in oltre un miliardo di euro nel varo della fantasiosa ed accogliente iniziativa, contro la quale il sempre vigile Papa Francesco, sempre prodigo di parole taglienti verso ciò che disapprova, non ha emesso una sillaba. Ma aggiunge che il governo precedente aveva preventivato un

modesto contributo all’iniziativa di almeno 10 miliardi di sterline, ovvero circa 12 miliardi di euro, senza riferire al parlamento.

Kagame, il quale ha già beneficiato dell’ennesimo “aiuto alla sviluppo” occidentale, si è affrettato a dichiarare che nonostante il piano sia miseramente fallito, non è tenuto a restituire la caparra. Ci mancherebbe altro: se il cliente rinuncia alla vacanza, paga. È un vero peccato, perché date le tensioni col vicino Congo (leggi: guerra) questa marcia indietro priva i rwandesi di molta ottima carne da cannone: decine di migliaia di uomini in età militare che sarebbero andati ad ingrossare le fila degli oltre 120 gruppi di “ribelli” operanti nel Nord e nel Sud Kivu, che nel silenzio generale – anche del governo di Kinshasa in altre faccende affaccendato – assiste ai continui massacri di civili inermi e al saccheggio di risorse naturali che fanno rimpiangere l’epoca coloniale come un’età dell’oro.

Ci sono tre considerazioni sintetiche e quasi istintive da fare in conclusione. La prima è che questa globalizzazione della paura e del malaffare per via statuale, a parere di chi scrive nasconde il più colossale giro di mazzette e creazione di fondi neri mai apparso sulla trista scena del mondo. Mentre il denaro dei servi sciocchi che non emettono scontrini viene spiato e contabilizzato fino all’ultimo centesimo, capitali enormi, esentasse e fuori controllo si aggirano per il mondo destinati ai fini più luridi e inumani. Questo mi pare il fine di gran parte degli “aiuti umanitari” e del “sostegno della comunità internazionale” a questa o quella guerra civile e democratica.

La seconda è che viviamo sottomessi ad apparati e istituzioni pubbliche che non rispondono più ai popoli che le hanno custodite e legittimate talvolta per secoli, le quali dilapidano la ricchezza in operazioni apertamente contrarie non solo al diritto internazionale ma anche agli interessi particolari del paese, estendendosi anche ad altri paesi come un cancro.

La terza è che mentre notizie del tutto trascurabili vengono pompate a dismisura, queste notizie scomode non è che non vengano date, ma sono del tutto ignorate. Una possibile ragione è l’abituare lentamente l’opinione pubblica alla normalità dello scandalo e del malaffare, predisponendola alla sua accettazione come fatto trascurabile. Mentre noi inveiamo contro il mostro di turno e il pericolo mortale del momento, milioni di uomini vengono spostati e ammassati come roba vecchia dalla soffitta alla cantina, giustificando il passaggio di mano di somme enormi di denaro sottratte alla sanità, alla giustizia, ai servizi essenziali, alla pace e alla prosperità di tutti.

Pluto

martedì 23 luglio 2024

L' INDUSTRIA DELL' OLOCAUSTO

 

Introduzione 

Questo libro si propone di essere un'anatomia dell'Industria dell'Olocausto e un atto d'accusa nei suoi confronti. Nelle pagine che seguono, dimostrerò che «l'Olocausto» è una rappresentazione ideologica dell'Olocausto nazista. Come la maggior parte delle ideologie, mantiene un legame, per quanto labile, con la realtà. 

L'Olocausto non è un concetto arbitrario, si tratta piuttosto di una costruzione intrinsecamente coerente, i cui dogmi-cardine sono alla base di rilevanti interessi politici e di classe. Per meglio dire, l'Olocausto ha dimostrato di essere un'arma ideologica indispensabile grazie alla quale una delle più formidabili potenze militari del mondo, con una fedina terrificante quanto a rispetto dei diritti umani, ha acquisito lo status di «vittima», e lo stesso ha fatto il gruppo etnico [10] di maggior successo negli Stati Uniti. Da questo specioso status di vittima derivano dividendi considerevoli, in particolare l'immunità alle critiche, per quanto fondate esse siano. Aggiungerei che coloro che godono di questa immunità non sono sfuggiti alla corruttela morale che di norma l'accompagna. Da questo punto di vista, il ruolo di Elie Wiesel come interprete ufficiale dell'Olocausto non è un caso. Per dirla francamente, non è arrivato alla posizione che occupa grazie al suo impegno civile o al suo talento letterario (3): Wiesel ha questo ruolo di punta perché si limita a ripetere instancabilmente i dogmi dell'Olocausto, difendendo di conseguenza gli interessi che lo sostengono. 

Lo stimolo iniziale per questo libro è stato uno studio fondamentale di Peter Novick, The Holocaust in American Life [L'Olocausto nella vita americana], che ho recensito per una rivista letteraria inglese. (4) Le pagine che seguono sono pervase del dialogo critico che ho avviato con Novick e ciò spiega la messe di riferimenti al suo studio. Più un insieme di intuizioni provocatorie che un saggio critico strutturato, The Holocaust in American Life si colloca nel solco della venerabile tradizione americana della denuncia di scandali. Ma, come la maggior parte dei cacciatori di scandali, Novick si concentra solamente sugli abusi più clamorosi. Per quanto pungente e piacevole in molti punti, The Holocaust in American Life non è una critica radicale. Gli as[11]sunti di base non vengono messi in discussione. Pur rimanendo all'interno dell'orizzonte delle opinioni tradizionali, il libro, né scontato né eretico, si colloca agli estremi margini di questo stesso orizzonte, su posizioni controverse e, come prevedibile, ha avuto una vasta eco, suscitando commenti sia positivi sia negativi sui media americani. 

La categoria analitica centrale di Novick è la «memoria». Attualmente di gran moda tra gli intellettuali, il concetto di «mernoria» è senza dubbio il più impoverito fra quelli prodotti negli ultimi anni dal mondo accademico. Con l'allusione d'obbligo a Maurice Halbwachs, Novick mira a dimostrare come la «memoria dell'Olocausto» sia stata forgiata da «preoccupazioni di oggi». C'era un tempo in cui gli intellettuali dell'opposizione mettevano in campo robuste categorie politiche come «potere», «interessi» da una parte e «ideologia» dall'altra. Tutto quello che resta oggi è il fiacco, spoliticizzato linguaggio di «preoccupazioni» e «memoria». Eppure, data la documentazione che Novick adduce, la memoria dell'Olocausto è una costruzione ideologica elaborata sulla base di precisi interessi. Secondo Novick, per quanto scelta, la memoria

dell'Olocausto è «il più delle volte» arbitraria; questa scelta, cioè, non verrebbe tanto condotta in base a un «calcolo di vantaggi e svantaggi», quanto piuttosto «senza dare troppo peso... alle conseguenze». (5) Al di là di queste sue parole, però, la do[12]cumentazione che lui stesso raccoglie suggerisce la conclusione opposta. 

Il mio interesse nei confronti dell'Olocausto nazista prese le mosse da vicende personali. Mia madre e mio padre erano dei sopravvissuti al ghetto di Varsavia e ai campi di concentramento. Tranne loro, tutti gli altri membri dei due rami della mia famiglia furono sterminati dai nazisti. Il mio primo ricordo, per così dire, dell'Olocausto nazista è l'immagine di mia madre incollata davanti al televisore a seguire il processo ad Adolf Eichmann (1961) quando io rientravo a casa da scuola. Anche se erano stati liberati dai campi solamente sedici anni prima del processo, nella mia mente un abisso incolmabile separò sempre i genitori che conoscevo da quella cosa. A una parete del soggiorno erano appese fotografie di parenti di mia madre. (Nessuna foto della famiglia di mio padre sopravvisse alla guerra.) In pratica non riuscii mai a mettere in relazione me stesso con quelle facce, men che mai a immaginare quello che era successo. Erano le sorelle, il fratello e i genitori di mia madre, non le mie zie, mio zio e i miei nonni. Ricordo di avere letto da bambino The Wall [Il muro di Varsavial, di John Hersey, e Mila 18, di Leon Uris, due romanzi ambientati nel ghetto di Varsavia. (Mi torna alla mente mia madre che si lamentava perché, immersa nella lettura di The Wall aveva sbagliato fermata andando al lavoro.) Per quanto mi sforzassi, non riuscii [13] mai, nemmeno per un istante, a fare quel salto d'immaginazione che saldava i miei genitori, con tutta la loro normalità, a quel passato. Francamente, non ci riesco neanche ora. 

Ma il punto più importante è un altro: se si esclude questa presenza spettrale, non ricordo intrusioni dell'Olocausto nazista nella mia infanzia e la ragione principale sta nel fatto che a nessuno, fuori della mia famiglia, sembrava interessare quello che era accaduto. I miei amici di gioventù leggevano di tutto e discutevano appassionatamente degli avvenimenti contemporanei, eppure, in tutta onestà, non ricordo un solo amico (o un suo genitore) che abbia fàtto una sola domanda su quello che mia madre e mio padre avevano passato. Non era un silenzio dettato dal rispetto, era semplice indifferenza. Sotto questa luce, non si possono che accogliere con scetticismo le manifestazioni di dolore dei decenni seguenti, quando era ormai consolidata. 

A volte penso che la «scoperta» dell'Olocausto nazista da parte dell'ebraismo americano sia stata peggiore del suo oblio. I miei genitori continuavano a ripensarci nel loro Privato e la sofferenza che patirono non ricevette pubblici riconosciment . Ma non fu forse meglio dell'attuale, volgare sfruttamento del martirio degli ebrei? Prima che l'Olocausto nazista divenisse l'Olocausto, sull'argomento furono pubblicati solo pochi [14] studi scientifici, come The Destruction ofThe European jews [La distruzione degli ebrei d'Europa], di Raul Hilberg, e testimonianze come Man's Search for Meaning [Alla ricerca di un significato della vita], di Viktor Frankl, e Prisoners of Fear [Prigionieri della paura], di Ella Lingens-Reiner. (6) Eppure questa piccola raccolta di gemme è migliore degli scaffali di cianfrusaglie che ora affollano biblioteche e librerie. 

I miei genitori, pur rivivendo giorno dopo giorno il passato fino alla fine della loro vita, negli ultimi anni persero interesse per l'Olocausto come pubblico spettacolo. Uno degli amici di più lunga data di mio padre era stato con lui ad Auschwitz ed era, o almeno sembrava, un incorruttibile idealista di sinistra che per principio rifiutò dopo la guerra il risarcimento tedesco. In seguito divenne un dirigente del museo israeliano dell'Olocausto, lo Yad Vashem. Con riluttanza e sinceramente deluso, mio padre dovette ammettere che perfino un uomo come quello era stato corrotto dall'industria dell'Olocausto, adattando le proprie idee al potere e al profitto. Dal momento che l'interpretazione dell'Olocausto assumeva forme sempre più assurde, a mia madre piaceva citare, non senza ironia, Henry Ford: «La storia è una sciocchezza». I racconti dei «sopravvissuti all'Olocausto» (tutti prigionieri dei campi di concentramento, tutti eroi della resistenza) a casa mia erano una fonte particolare di amaro divertimento. D'al[15]tronde già molto tempo fa John Stuart Mill aveva compreso che «le verità se non sottoposte a continua revisione, cessano di essere verità. E, attraverso le esagerazioni, diventano falsità». 


Mio padre e mia madre si chiesero spesso perché m'indignassi di fronte alla falsificazione e allo sfruttamento del genocidio perpetrato dai nazisti. La risposta più ovvia è che è stato usato per giustificare la politica criminale dello Stato d'Israele e il sostegno americano a tale politica. Ma c'è anche un motivo personale. Ho infatti a cuore che si conservi la memoria della persecuzione della mia famiglia. L'attuale campagna dell'industria dell'Olocausto per estorcere denaro all'Europa in nome delle «vittime bisognose dell'Olocausto» ha ridotto la statura morale del loro martirio a quella di un casinò di Montecarlo. Ma anche tralasciando queste preoccupazioni, resto convinto che sia importante preservare l'integrità della ricostruzione storica e lottare per difenderla. Alla fine di questo libro sostengo che nello studio dell'Olocausto nazista possiamo imparare molto non solamente riguardo ai «tedeschi» o ai «gentili», ma a noi tutti. Eppure penso che per fare questo, cioè per imparare sinceramente dall'Olocausto nazista, occorra ridurre la sua dimensione fisica ed enfatizzarne quella morale. Troppe risorse pubbliche e private sono state investite nella commemorazione del genocidio e gran parte di questa produzione è indegna, un tributo [16] non alla sofferenza degli ebrei, ma  all'accrescimento del loro prestigio. È da tempo che dobbiamo aprire il nostro cuore alle altre sofferenze dell'umanità: questa è la lezione più importante impartitami da mia madre. Non l'ho mai sentita dire: «Non fare paragoni». Lei li fece sempre. Certo si devono fare distinzioni storiche, ma porre distinzioni morali tra la «nostra» sofferenza e la «loro» è a sua volta un travisamento morale. «Non potete mettere a confronto due sventurati» osservò Platone «e dire quale dei due sia più felice.» Di fronte alle sofferenze degli afroamericani, dei vietnamiti e dei palestinesi, il credo di mia madre fu sempre: siamo tutti vittime dell'Olocausto. 

 

Norman G. Finkelstein Aprile 2000 New York [19] 

sabato 20 luglio 2024

TRUMP DEVE MORIRE

Ci sono due notizie recenti che vanno osservate da vicino, e messe in relazione fra loro.

La prima. Si attende ad ore il passo indietro di Joe Biden, a favore della candidatura della sua vice Kamala Harris, complice il quinto Covid preso dal presidente: uno dopo ogni vaccinazione alla quale POTUS si è sottoposto. L’infezione è “mild”, moderata.

Questo colpo di scena, se arriverà, sarà dopo settimane di resistenze in seguito alla figuraccia nell’irrituale dibattito presidenziale di giugno – tuttavia non risolve il problema dei democratici: nonostante i sondaggi accreditino altri potenziali candidati come Michelle Obama, Gavin Newsom e la stessa Harris intorno alle stesse percentuali di Biden (a sua volta dato 2-3 punti sotto Trump) la realtà appare molto meno confortante, con le chances di battere un Trump lanciatissimo ridotte ad un lumicino.

La seconda. Di cinque giorni fa – quindi posteriore all’attentato di Butler a Trump – la notizia data dalla premiata ditta Cia-Mossad di un piano iraniano per assassinare Trump. Il piano, affermano le fonti, sarebbe una vendetta per l’assassinio del generale Soleimani, perpetrato nel 2020 proprio da Cia e Mossad sotto la presidenza Trump. C’è chi dice senza l’avallo presidenziale: il presidente ha dovuto fare buon viso e cattivo gioco.

Quale che sia la verità fattuale – non credo alla versione, vagamente naïve, di Trump nemico giurato del deep state e contrario all’assassinio di Soleimani – la possibilità che emerge dal combinato disposto del “groviglio armonioso” Dem e dell’attentato fallito a Trump è un secondo attentato al candidato repubblicano, questa volta più radicale. Penso ad un’autobomba o qualcosa di più devastante, ad imitazione del bombardamento che a Baghdad ha colpito il corteo di Soleimani, uccidendolo.

L’ipotesi può sembrare folle, ma ha senso. Esaminiamo il “campo largo” della storia recente: gli Stati Uniti, dopo decenni di guerre “minori” e proxy war contro avversari manifestamente inferiori – Iraq, Libia, Serbia, Siria – hanno ora vitale (o letale, a seconda dei punti di vista) bisogno di uno scontro con un nemico all’altezza. Una nemesi, per citare il mito greco. Che si chiami Russia, Cina o Iran è secondario. Solo la vittoria in uno scontro di questo tipo garantirebbe un’egemonia stabile per almeno un secolo.

Ne hanno bisogno perché sono una superpotenza cultural-militare. L’idea stessa di superpotenza è un dato di cultura, figlio di decenni di costosissima propaganda che hanno reso il modello americano vincente sul piano psichico. La superpotenza americana è immagine cinematografica: non soltanto il cinema la riflette, ma la realtà stessa dell’esercizio del potere si è dovuta adattare al linguaggio dell’immagine. La politica americana, le campagne elettorali sono puro show.

Il problema è che non tutto il mondo è sensibile alla propaganda: non lo è l’impero russo, non lo è quello cinese, non lo è il più piccolo ma non meno agguerrito, quello iraniano. Allora, complice il velo di Maya della propaganda che prima distrugge il nemico sul piano spirituale (il male assoluto, Hitler e via dicendo), bisogna sottometterlo militarmente. Solo dopo averne distrutto l’immagine.

Non solo. Per garantirsi uno scontro che ponga da subito gli Stati Uniti sul piano superiore – spirituale e morale – dell’immagine pubblica, bisogna che sia la nemesi ad attaccare. È stato così a Pearl Harbour, è stato così con l’incidente del Tonchino che diede agio a Johnson di attaccare il Vietnam senza una formale dichiarazione di guerra, è stato così l’11 settembre.

Mentre nei tre casi citati il popolo americano si è mostrato compatto sotto l’ombrello dell’ideale, a questa curva della storia gli U.S.A. arrivano profondamente logori, sfilacciati, divisi. Qualche autorevole commentatore sostiene sull’orlo della guerra civile.

Ecco allora che per ricompattare il fronte interno bisogna che la nemesi esterna uccida quella interna, vale a dire Donald Trump, l’Hitler americano come Putin è l’Hitler Russo, Assad l’Hitler siriano e via dicendo. Solo in questo modo, pensano gli strateghi occulti registi di queste operazioni, una società in frantumi tornerebbe ad unirsi. È un calcolo cinico, ma per certi aspetti fondato.

Così avverrebbe lo scontro contro una delle superpotenze rivali – la più debole, in un certo senso: tuttavia visto l’esito del Vietnam bisognerebbe comunque fare attenzione, anche perché l’Iran non è il Vietnam, essendo militarmente superiore – che dovrebbe porre fine all’emergente mondo multipolare, garantendo al plesso americano una supremazia incontrastata.

Una guerra, fra l’altro, avrebbe l’indiscutibile pregio di rinviare ad libitum le elezioni presidenziali, consentendo ai Dem di conservare presidenza, camera e senato, i tre pilastri del potere democratico o come volete chiamare ciò che ne resta. Allo stato attuale, rischiano di abbandonare tutti i tavoli da gioco.

Per queste ragioni brevemente esposte, ritengo che proveranno ad uccidere ancora Donald Trump addossando la colpa all’Iran. Data la situazione generale, non hanno altra scelta.

Pluto

giovedì 18 luglio 2024

Vigano’, Bergoglio, CL , la Chiesa e i cristiani

 

    In questo periodo i mezzi di comunicazione fanno un gran parlare del contrasto tra l’Arcivescovo Carlo Maria Vigano’ e il Papa; si sono buttati a pesce sulla questione dello scisma e sulla scomunica comminata a Vigano’ perché non si è sottomesso al Papa e perché ha dichiarato che il Concilio Vaticano II è stato l’origine di tutti i mali che soffre la Chiesa attuale. Sono diventati tutti esperti vaticanisti, i giornalisti, e discettano di questioni teologiche e canoniche con una disinvoltura che sembra far credere che non si siano mai interessati d’altro in vita loro. Ci inondano di notizie anche sulla crisi di CL, che non vedevano l’ora si dissolvesse in problematiche interne e sparisse dalla vita sociale. Tutto viene messo sulla pubblica piazza con dovizia di particolari e gran compiacimento delle discordie tra i responsabili e tra essi e il Vaticano.

Questa situazione mi ha fatto sorgere alcune domande: anzitutto “come stanno realmente le cose?” E poi, perché i giornalisti parlano solo delle difficoltà e dei contrasti e mai delle cose positive che avvengono ad opera di chi fa parte della Chiesa? O meglio, perché esasperano quel 2 per cento di problemi e tralasciano di prendere in considerazione il rimanente 98 per cento di azioni, di rapporti umani di realtà concrete messe in piedi dai cristiani che sono di enorme sostegno per la gente? Perché non parlano mai, ad esempio, dell’impressionante numero di aiuti umanitari originato dall’esperienza di Comunione e Liberazione?  Oppure dell’incredibile slancio missionario prodotto da tutto il modo cattolico, dalla metà dell’Ottocento in avanti? 

Tanto per fare un esempio, io, che sono nell’ambito cattolico da cinquant’anni, sono venuto a conoscenza dell’esistenza di Giuseppe Allamano e dei suoi Missionari della Consolata solo quando sono andato in Africa e precisamente in Costa d’Avorio. Lì ho visto ciò che fanno questi giganti della fede: a Marandallah, nel cuore del Paese, hanno messo in piedi un villaggio intero, con tanto di “Jardin de l’amitié”, un enorme parco per i bambini, con giochi e spazi utilizzabili. Questo può apparire ovvio nel Nord Italia, nel quale ci sono sempre stati gli Oratori, ma in Africa è una cosa dell’altro mondo, in quanto nelle loro mentalità i bambini non sono considerati finché non arrivano all’età adulta. In Africa sono molto considerati gli anziani, tanto che mangiano tutto quello che vogliono, poi gli adulti, e infine i bambini, ai quali spetta ciò che rimane. E’ per tale motivo che magari si ammalano di anemia: perché mangiano solo il riso bianco che avanza, ma non la carne, spazzolata dagli adulti. Nessuno dice poi che nell’islam e nelle religioni tribali non c’è alcuna attività pensata per i bambini, i quali vengono lasciati a loro stessi e crescono per strada. Ma i Missionari della Consolata avevano costruito addirittura un ospedale, così che le autorità civili avevano lasciato andare in rovina l’ospedale statale, perché tanto c’era già quello dei preti.

E questo è solo un esempio, ma si potrebbe parlare dell’opera dei Missionari del PIME, che hanno missioni perfino in Tailandia e Cambogia, dei Comboniani, dei Francescani, e chi più ne ha più ne metta.

Come mai io non sapevo nulla di tutto ciò? Perché i giornalisti, di queste cose, parlano in maniera talmente veloce, frammentaria e superficiale che non rimane nella testa della gente. Le buttano lì con noncuranza e in maniera occasionale e casuale. Le notizie che invece vogliono far rimanere ben impresse nella mentalità dei più vengono date di continuo, in modo martellante e ossessivo, con una sorta di “bombardamento mediatico”. Basti pensare ai “tormentoni” riguardanti fatti accaduti magari decenni fa che vengono ripresi sistematicamente, mentre la stragrande maggioranza dei conflitti armati presenti nel mondo è totalmente obliterata.

Sempre più spesso viene data l’interpretazione del fatto prima ancora di cercare di darne una descrizione completa e di andare a fondo delle motivazioni che potrebbero esserci alla base di esso. Il metodo con cui vengono fornite le notizie del nostro mondo cosiddetto democratico è sempre più simile a quello di un regime totalitario che cerca in tutti i modi di far pensare le persone in un determinato modo.

Tale metodo viene applicato “scientificamente” soprattutto alla Chiesa, rea di essere una realtà non immediatamente assimilabile a quella di una organizzazione statale. La virulenza con la quale i giornalisti attaccano la Chiesa, in particolare quella cattolica, non ha paragoni con nessun’altra realtà, né religiosa né civile. Il silenzio quasi tombale sulle persecuzioni e le discriminazioni che subiscono i cristiani in molti Paesi del mondo ha come termine di confronto, forse, solo il silenzio che copre tutte le guerre “minori”, cioè il conflitti che fa comodo all’Occidente tenere nascosti, di cui è pieno il mondo definito “terzo” appunto dagli Stati ricchi del pianeta.

Come distruggere la Chiesa? Non ce la fece nemmeno la rivoluzione francese e Napoleone, dall’esterno; allora occorre far entrare al suo interno il “fumo di satana”, come disse Paolo VI, cioè un pensiero non cattolico che diventi predominante. E il pensiero non cattolico che si vuol introdurre è quello della cosiddetta democrazia liberale: la Chiesa, si dice, deve rispettare i diritti dell’uomo, la parità di genere, i diritti degli omosessuali e via discorrendo. Si applica sempre più spesso il metodo dell’elezione diretta dei responsabili e dei capi, metodo che apparentemente sembra più giusto, ma rischia di non tenere conto dell’essenza della Chiesa, che è quella di essere una “comunione gerarchica”.

Intendiamoci, non è che il metodo democratico sia generato dal diavolo; le stesse elezioni democratiche hanno origine dall’elezione dell’abate nei monasteri. I Greci infatti avevano forme di governo basate più su criteri oligarchici che democratici. E’ con il Medioevo che tutti i monaci votano per eleggere il loro “capo”. Tutto il nostro sistema democratico ha avuto impulso decisivo dalla vita cristiana e in particolare dalla vita monastica. Non è un caso che la democrazia si sia affermata nei Paesi a tradizione cristiana e non negli Stati a preminenza islamica o buddista-induista.

Ma se la mentalità democratica prende il sopravvento nella Chiesa, allora il punto è avere la “maggioranza”, e sconfiggere l’”opposizione”; si riduce tutto ad una gara per ottenere consensi e vince chi ne ottiene di più. Si rientra nella logica di potere, perché anche il sistema democratico è un mezzo per raggiungere le leve di governo di una organizzazione.

C’è un altro aspetto da considerare, che riguarda più i cattolici cosiddetti “tradizionalisti” Un altro modo di intendere la Chiesa è quello di identificarla con la gerarchia, con il Papa, i Cardinali e i Vescovi. Ho fatto tante discussioni a questo proposito, con chi sosteneva che la Chiesa è “una gerarchia”. Addirittura qualcuno arrivava ad affermare che “La Chiesa è il Papa”. Ora, io rispondevo che la gerarchia è essenziale alla natura della Chiesa cattolica, ma non la esaurisce: la Chiesa è formata da Papa, cardinali, vescovi, preti, suore, monaci, ma, vivaddio, anche dai fedeli laici, siano essi sposati o consacrati: in una parola, da tutti i battezzati. In quest’ottica anche gli ortodossi e i protestanti sono Chiesa, in quanto uniti a Cristo con il battesimo. Poi aggiungevo: una definizione un po’ più completa della Chiesa è quella di “comunione gerarchica”, che mantiene la sua natura di “realtà etnica sui generis”, come disse sempre Paolo VI. La Chiesa, insomma, non è riducibile ad una qualsiasi realtà sociale organizzativa, ma ha una specificità che le deriva dalla sua costituzione durante l’Ultima cena, nella quale Nostro Signore Gesù Cristo ci ha lasciato il Suo corpo e il Suo sangue perché potessimo essere salvati.

La Chiesa, insomma, è una realtà umana nella quale si rende presente il divino: è una unità di persone nella quale si manifesta, in quanto realmente presente, Gesù Cristo stesso. Allora, chi è che comanda nella Chiesa? Chi è il vero “capo della Chiesa?  Il Papa? No! Gesù Cristo!

Mi viene in mente la frase del cardinal Siri, dopo il Conclave del 1958, nel quale era certo di essere eletto Papa: “Tutti erano d’accordo per votare me; c’erano solo tre persone non lo volevano: il Padre, il Figlio e lo Spirito santo”.

martedì 9 luglio 2024

ARMI ALL'UCRAINA

 NUOVOATLANTE

di Alessandro Orsini
Samp-T. L’Italia si appresta a fornire il secondo, ma aiuterà solo la guerra

Nel gennaio 2024 la Russia ha rivendicato la distruzione di un Samp-T italiano, il sistema di difesa antiaerea più costoso e sofisticato di cui l’Italia disponga con tempi di consegna lunghissimi. Più volte questa rubrica ha sollevato la questione chiedendo al ministro della Difesa, Guido Crosetto, di pronunciarsi a riguardo: è vero che la Russia ha distrutto un Samp-T italiano? Questa risposta non è mai giunta. Dunque, vi sono elementi sufficienti per ritenere che la Russia abbia realmente distrutto il primo Samp-T italiano e che Crosetto stia consegnando un secondo Samp-T all’Ucraina perché il primo non c’è più o è a brandelli. Le considerazioni da fare sono numerose.

La prima è che potremmo essere in errore. Se così fosse, la colpa sarebbe di Crosetto. Nascondendo tutto ciò che accade alle armi italiane in Ucraina, Crosetto costringe gli studiosi di sicurezza internazionale a procurarsi le informazioni nei modi più complicati, incerti e precari. Le informazioni sono indispensabili per sottoporre il potere pubblico al controllo democratico. Se il ministro della Difesa fa sparire le informazioni, ecco che sparisce anche la possibilità del controllo democratico. La seconda considerazione ha a che vedere con la vera ragione per cui Crosetto nasconde agli italiani le armi che invia a Zelensky e la loro “fine”. Secondo Crosetto, l’invio degli armamenti deve essere secretato “per ragioni di sicurezza nazionale”. Ma è falso giacché Putin conosce perfettamente le armi che l’Italia dà a Zelensky. Soltanto gli italiani non sanno niente. I russi non votano per eleggere il governo italiano; gli italiani, invece, sì. Ne consegue che i primi possono sapere tutto delle armi che Zelensky riceve da Crosetto mentre i secondi non devono sapere niente. Soltanto gli italiani devono rimanere all’oscuro dei fatti. Crosetto non pone il segreto sulle armi che invia in Ucraina per “motivi nazionali”, ma per interessi elettorali, Se gli italiani sapessero che Crosetto sta distruggendo il loro sistema di difesa aerea, perderebbe voti.

La terza considerazione riguarda il fallimento totale della strategia di Crosetto, il quale aveva assicurato che l’esecrazione della diplomazia e il solo invio di armi avrebbe protetto la vita dei civili ucraini. Ma il bombardamento russo dell’ospedale pediatrico Okhmatdyt a Kiev conferma che i civili ucraini vengono uccisi copiosamente. I fatti dimostrano che questa rubrica ha avuto ragione: il modo migliore di proteggere la vita dei bambini ucraini era la mediazione diplomatica da avviare prepotentemente sin dal primo giorno di guerra. Crosetto, invece, ha sempre assicurato che gli ucraini sarebbero stati protetti dalle armi della Nato molto più che dalla diplomazia. Infatti, Crosetto non ha mai fatto nulla per favorire un incontro tra Meloni e Putin come quello che Putin ha appena avuto con Orban. Per ogni proiettile della Nato che l’Ucraina lancerà contro la Russia, la Russia lancerà dieci proiettili contro l’Ucraina. Questa è la regolarità che governa la guerra. Concludiamo con una nuova previsione: grazie alle nuove armi che Crosetto si accinge a dare a Zelensky, l’Ucraina sarà sempre più distrutta, i morti ucraini saranno sempre più numerosi e l’Ucraina perderà sempre più territori. Come se non bastasse, gli italiani rischiano di ritrovarsi senza difesa aerea mentre la corsa verso la Terza guerra mondiale prosegue. Giorgia Meloni ha sempre detto che gli italiani non pagheranno niente per questa guerra. Eppure, l’intero sistema Samp-T ha un costo abnorme, che pagheranno gli italiani.

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sabato 6 luglio 2024

Il racconto di Alessandro Serenelli, assassino di santa Maria Goretti

«Sono vecchio di quasi 80 anni, prossimo a chiudere la mia giornata. Dando uno sguardo al passato, riconosco che nella mia prima giovinezza infilai una strada falsa: la via del male che mi condusse alla rovina. Vedevo attraverso la stampa gli spettacoli e i cattivi esempi che la maggior parte dei giovani segue quella via, senza darsi pensiero: ed io pure non me ne preoccupai. Persone credenti e praticanti le avevo vicino a me, ma non ci badavo, accecato da una forza bruta che mi sospingeva per una strada cattiva. Consumai a vent’anni il delitto passionale, del quale oggi inorridisco al solo ricordo. Maria Goretti, ora santa, fu l’angelo buono che la Provvidenza aveva messo avanti ai miei passi. Ho impresse ancora nel cuore le sue parole di rimprovero e di perdono. Pregò per me, intercedette per me, suo uccisore.

Seguirono trent’anni di prigione. Se non fossi stato minorenne, sarei stato condannato a vita. Accettai la sentenza meritata; rassegnato espiai la mia colpa. Maria fu veramente la mia luce, la mia Protettrice; col suo aiuto mi diportai bene e cercai di vivere onestamente, quando la società mi riaccettò tra i suoi membri. I figli di San Francesco, i Minori Cappuccini delle Marche, con carità serafica mi hanno accolto fra loro non come un servo, ma come fratello. Con loro vivo dal 1936.

Ed ora aspetto sereno il momento di essere ammesso alla visione di Dio, di riabbracciare i miei cari, di essere vicino al mio angelo protettore e alla sua cara mamma, Assunta.

Coloro che leggeranno questa mia lettera vogliano trarre il felice insegnamento di fuggire il male, di seguire il bene, sempre, fin da fanciulli. Pensino che la religione coi suoi precetti non è una cosa di cui si può fare a meno, ma è il vero conforto, la unica via sicura in tutte le circostanze, anche le più dolorose della vita.

Pace e bene!»


Alessandro Serenelli, assassino di Santa Maria Goretti, in punto di morte.

venerdì 5 luglio 2024

MONSIGNOR VIGANO' SCOMUNICATO PER SCISMA


 E’ veramente incredibile la rapidità con la quale la Chiesa cattolica di Jorge Mario Bergoglio punisce i suoi oppositori. Mons. Viganò è stato scomunicato per “scisma” oggi, 5 luglio 2024, perché ha rifiutato l’autorità del Papa regnante e ha criticato pesantemente il Concilio vaticano II.

La prima osservazione è che in questo caso si è applicato un metodo molto veloce e rigido, senza cercare una mediazione. Alla faccia dell’apertura e dell’inclusività, che entrano in gioco solamente quando si tratta di omologarsi al pensiero unico. L’attuale Chiesa cattolica è tanto dura al suo interno, nei confronti del suo clero e dei suoi fedeli, quanto cedevole verso la mentalità mondana.

C’è da dire però che mons. Viganò non ha fatto nulla per evitare tale provvedimento, anzi è come se l’avesse fortemente “provocato”. Le sue dichiarazioni sono inequivocabili e molto dure nei confronti sia dell’attuale Pontefice che del Concilio Vaticano II, da lui considerato “il cancro” dal quale derivano tutti i mali della Chiesa contemporanea.

Non si è comportato certo come quei grandi santi (vedi san Francesco) che, pur essendo estremamente critici nei confronti della Chiesa del loro tempo, ne hanno accettato l’autorità e sono rimasti dentro la comunione ecclesiale.

Un’altra considerazione che mi viene spontanea è il peso che la sentenza di scomunica da’ alle dichiarazioni che vengono espresse sulle reti sociali. Ormai per tutti, anche per le gerarchie cattoliche, ciò che conta è la “reputazione” che uno ottiene nel mondo della comunicazione informatica.

giovedì 4 luglio 2024

ORBAN A MOSCA

 Viktor Orbàn andrà a Mosca ad incontrare Putin; essendo il Presidente di turno dell'UE, questa visita ha un particolare significato. I giornalisti occidentali si affannano a far parlare Charles Michel, un emerito "signor nessuno" che è Presidente del Consiglio europeo, organo di mero indirizzo generale ma di nessun peso reale.

E che cosa dice Michel , se non la solita tiritera statunitense: "la Russia è l'aggressore, l'Ucraina la vittima"? Tiritera che serve a giustificare l'assurdo invio di armi e di denaro da parte dei Paesi della NATO ad uno Stato che non ne fa neanche parte. Michel dice anche che "non si può parlare di pace senza l'Ucraina", come se non si fosse parlato e straparlato di pace (e di guerra ad oltranza) senza la Russia, addirittura al G7.

Del quale G7 la Russia non fa parte ed è stata buttata fuori dal G8 fin dal 2014, in seguito alla crisi della Crimea. E' infatti nel 2014 che inizia la questione, sia in Crimea che in Ucraina, con i bombardamenti sulle regioni filo-russe da parte del regime di Kiev.

Ma i giornalisti del pensiero unico continuano a mentire spudoratamente e a censurare la realtà a loro scomoda: alcuni riescono a sostenere che la Russia abbia fatto una "invasione totale" dell'Ucraina, cosa che non si riesce a capire come possa essere affermata.

Poi c'è il totale silenzio, questo sì, sulle atrocità commesse dal regime di Zelensky ai danni della propria popolazione, come l'arruolamento forzato addirittura dei minorenni e si cerca di sminuire in tutti i modi gli attentati di stile terroristico degli Stati Uniti d'America, come quello di Sebastopoli.
Tutto ciò onde evitare che la maggior parte della gente venga a sapere che lo zio Sam ha installato il suo nuovo quartier generale a Solbiate Olona, vicino Varese, per "reagire" in difesa della "vittima ucraina" con mezzi, tecnologia e 300.000 soldati.

IL REATO DI "FEMMINICIDIO"

 Un DDL che discrimina. Considerazioni sul “reato di femminicidio” introdotto dal Governo Meloni con il plauso dell’Onorevole Valente del PD...